Il 29 Maggio 1453 Costantinopoli, fino a quel momento capitale di ciò che rimaneva dell'Impero Romano d'Oriente, cadde dopo un lungo assedio nelle mani dei Turchi Ottomani, che cambiarono il suo nome in Istanbul e la resero la capitale del loro impero. Con questo atto si concluse anche l'Impero Romano d'Oriente, con la morte del suo ultimo imperatore Costantino XI Dragases Paleologo, anche se alcune parti dell'Impero, come l'Epiro e Trebisonda rimasero indipendenti ancora per alcuni anni.
Al 1453, l'Impero Romano d'Oriente (spesso chiamato in maniera impropria Impero Bizantino) controllava ormai pochi territori scollegati tra loro: la città di Costantinopoli, la Morea (il Peloponneso), una piccola parte della Tessaglia e Trebisonda, territorio quest'ultimo formalmente autonomo ma strettamente legato all'Impero. La città, inoltre, era in una condizione di declino dall'inizio del secolo, con le dogane sui Dardanelli che fruttavano appena 30.000 monete d'oro l'anno, mentre quelle genovesi ne fruttavano ben 200.000 l'anno.
Una situazione definita dallo storico Fernand Braudel "una città isolata, un cuore, rimasto miracolosamente vivo, di un corpo enorme da lungo tempo cadavere".
Nei decenni precedenti molti dei pochi territori rimasti stavano cadendo di fronte alla pressione degli Ottomani, che ormai controllavano l'Anatolia e iniziavano a prendere il controllo dei territori appartenuti all'Impero Romano d'Oriente nella penisola balcanica. Costantinopoli, preoccupata da tale avanzata, iniziò a chiedere aiuto ai sovrani occidentali, ottenendo tuttavia un supporto limitato: la riunificazione alla Chiesa Cattolica fu ritenuta da molti una condizione non prescindibile, ma il mondo Ortodosso non era disposto ad accettarla. Gli aiuti, perciò, furono limitati.
L'avanzata di Tamerlano e dei Mongoli, che sconfissero gli Ottomani ad Ancyra nel 1402, aveva rallentato l'avanzata turca, e le imponenti difese di Costantinopoli erano state fino a quel momento un notevole deterrente di fronte a una possibile occupazione: la capitale dell'Impero d'Oriente poteva infatti contare su una possente cinta muraria costruita al tempo dell'Imperatore Teodosio, arricchita da una cinta muraria esterna a 20 metri di distanza da quella principale e da un fossato. Alle mura era integrata la fortezza delle Blacherne, mentre dall'altra parte del Corno d'Oro altre mura difendevano la cittadella di Galata. Per fermare possibili invasioni marittime, era stata costruita la cosiddetta Catena di Costantinopoli, una grande catena che poteva essere in qualsiasi momento issata per bloccare il corno d'oro tra Costantinopoli e la Torre di Galata. Tale sistema difensivo era stato superato solamente nel corso della Quarta Crociata, quando le forze Cattoliche entrarono a Costantinopoli e vi insediarono il Regno Latino.
Tuttavia, nel XV Secolo iniziarono a diffondersi i primi cannoni, contro i quali i precedenti sistemi di difesa iniziarono a essere superati.
Nel 1451, alla morte del sultano ottomano Murad, gli succedette il figlio Maometto II (conosciuto anche col nome turco di Mehmet II), appena 19enne, che iniziò fin da subito a essere letteralmente ossessionato dalla conquista di Costantinopoli, già da tempo al centro delle mire ottomane. Subito il nuovo sultano iniziò i preparativi per l'offensiva, costruendo la fortezza di Rumeli Hisari, lungo il Bosforo e situata pochi chilometri a nord di Costantinopoli: tale fortificazione avrebbe così fatto pendant con la Anadolu Hisari, situata dal lato opposto del canale e costruita nel 1394 dal sultano Bayezid I.
Attraverso queste fortificazioni, gli ottomani iniziarono una violenta stretta sui Dardanelli: ne pagarono le spese, per primi, la nave del mercante veneziano Antonio Rizzo, che venne colpita dalle bombarde di Urbano di Transilvania per non essersi fermata a un posto di blocco ottomano. L'intero equipaggio venne ucciso e Rizzo venne impalato presso Dydimotheico, in Tracia. Vennero inoltre uccisi due mercanti genovesi, fattò che causò la reazione della repubblica ligure.
Questi fatti suscitarono sdegno e preoccupazione nel mondo cristiano, e in modo particolare a Costantinopoli, dove ciò che rimaneva dell'Impero si sentiva sempre più minacciato dalla crescente pressione ottomana.
Fu così che nel 1452 l'Imperatore Costantino XI Dragases Paleologo decise di chiedere aiuto alle altre potenze cristiane, temendo che le cose potessero andare per il peggio. La situazione, tuttavia, non era delle più semplici: i rapporti dell'Impero Romano d'Oriente col mondo cattolico non erano semplicissimi. Tra il 1431 e il 1445 si era infatti svolto il Concilio Ecumenico che, iniziato a Basilea, proseguì prima a Ferrara e quindi a Firenze, che aveva come principale tema l'unione con Roma della Chiesa Ortodossa. Se in sede di concilio si era arrivati a una soluzione della situazione e a un sostegno a un ritorno della Chiesa d'Oriente nell'orbita di Roma, questo naufragò col ritorno in patria di molti dignitari di Costantinopoli, che fecero un passo indietro rispetto alle loro decisioni. Costantino XI cercò di accelerare la risoluzione del problema, mentre si preparava allo scontro: in questo contesto, il mondo occidentale si limitò a lasciare libertà ai propri mercanti se intervenire a sostegno di Costantinopoli o meno: la flotta veneziana dell'Egeo, infatti, rimase attraccata a Negroponte (Eubea), mentre alcuni mercanti genovesi riuscirono a inviare alcune truppe a Costantinopoli. Lo scontro sembrava ormai vicinissimo, e la cosa fu chiara quando Mehmet II fece pervenire un messaggio a Costantino XI, proponendogli di divenire governatore della città in caso di resa immediata, ma chiarendo che in caso contrario avrebbe combattuto fino all'ultimo sangue. L'Imperatore replicò al messaggio: "Darti la città non è decisione mia ne di nessuno dei suoi abitanti; abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere, e non risparmieremo la vita". Il 2 Aprile 1453, Mehmet II dette allora inizio all'assedio di Costantinopoli, accampandosi tre giorni dopo a un miglio e mezzo di distanza dalla città e sparando i primi colpi di cannone il 6 Aprile. Come risposta, il 2 Aprile fu tesa la catena sul Corno d'Oro tra la Torre Sant'Eugenio e Galata.
La difesa terrestre di Costantinopoli fu assegnata dall'Imperatore Costantino XI al genovese Giovanni Giustiniani Longo, arrivato in città a Gennaio alla testa di 700 soldti di ventura. Vennero poi assegnati a diversi uomini i comandi dei diversi settori da difendere: ad Andronico Cantacuzeno fu assegnata la Porta Aurea, al veneziano Contarino Contarini il Castello delle Sette Torri, al genovese Maurizio Cattaneo l'area tra Porta Aurea e Porta Pegana, a Nicola Goudeles e Battista Gritti (o, secondo altre fonti, Nicolò Mocenigo) Porta Pegana, ai genovesi Paolo, Troilo e Antonio Bocchiardo Porta Rhegium, a Giovanni Cantacuzeno Porta San Romano, all'Imperatore Costantino XI in persona in sieme al suo protostration Giovanni Giustiniani Longo il tratto tra Porta San Romano e Porta Charisio, ad Andronico Leontaris Briennio e Fabruzzi Corner Porta Charisio, al veneziano Dolfin Dolfin (più avanti sostituito dal suo conterraneo Giovanni Loredan) il tratto tra Porta Gyrolimnes e il Palazzo delle Blacherne, all'Imperatore Costantino XI in persona (che qui lasciò però il posto al bailo di Venezia Girolamo Minotto già nei primi giorni di assedio) al Palazzo delle Blacherne, a Teodoro Caristeno (sarà sostituito dopo la morte dai genovesi Leonardo Langasco e Gerolamo Italiano e dal bizantino Emanuele Goudeles) a Porta Caligaria, a Teofilo Paleologo, Zaccaria Grioni e al tedesco (o secondo alcune fonti scozzese) Giovanni Alamanno il tratto tra Porta Caligaria e la Xyloporta, a Manuele Paleologo la Xyloporta, al veneziano Gabriele Trevisan il tratto tra la Porta Kynegos e la Porta Phanar, ad Alessio Disipato la Porta Phanar, ai veneziani Ludovico e Antonio Bembo il tratto tra la Porta Phanar e la Porta Basilica, a Luca Notaras la Porta Basilica, a Giovanni Vlaco la Porta Santa Teodosia, a Manuele Filantropeno la Porta Platea, al Cardinale Isidoro di Kiev e all'Arcivescovo di Mitilene Leonardo di Chio il tratto compreso tra l'Angulus Sancti Demetrii e i Mangani, al catalano Pere Julià la Porta Imperiale del Bucoleon, a Orhan Celebi, turco cugino e rivale del sultano Mehmet II schieratosi a difesa di Costantinopoli, il Porto di Eleutheros, al veneziano Alvise Duodo il Porto e a Demetrio Paleologo Cantacuzeno e Niceforo Paleologo le forze di riserva acquartierate presso la Chiesa dei Santi Apostoli.
In tutto, i difensori di Costantinopoli tra greci e latini potevano contare su settemila uomini e 26 navi, e avrebbero fronteggiato 80mila turchi che potevano contare su 200 navi, 14 bombarde, il gigantesco "cannone-mostro" di Urban di Transilvania e altre 70 armi da fuoco di medio calibro.
Con la presa delle posizioni di combattimento da parte degli ottomani, il 6 Aprile si sparano i primi colpi di cannone che si concentrano soprattutto sulla Porta Charisio, che il giorno dopo viene danneggiata gravemente e rapidamente riparata dalle forze di Costantinopoli.
L'8 Aprile il Sultano cerca di consolidare le proprie posizioni, in attesa dell'arrivo di altri cannoni, mentre il 9 Aprile, le forze del Sultano iniziano a prendere d'assalto i forti esterni alle mura di Costantinopoli: il primo è Therapia, che viene distrutto e cade sotto le cannonate ottomane. I 40 militari superstiti vengono impalati.
Lo stesso giorno, l'ammiraglio turco Balta-ohglu prova a colpire le difese navali di Costantinopoli, ma fallisce l'attacco. Il giorno successivo prende d'assalto l'isola di Prinkipo, nel Mar di Marmara, deportando i suoi abitanti che si erano asserragliati in una torre per cercare di mettersi in salvo.
Il 10 Aprile le truppe ottomane assaltano un altro forte presso il villaggio di Studion, demolendolo a colpi d'artiglieria. I 36 superstiti vengono tutti impalati.
E' però dal 12 Aprile che il Sultano lancia il vero e proprio attacco d'artiglieria contro le difese della città. L'arrivo di altri cannoni gli permette di disporli a proprio piacimento. Tra i cannoni c'è anche il cosiddetto cannone-mostro, forgiato da Urbano di Transilvania (conosciuto anche come Urban), fonditore ungherese che lavorava al servizio del Sultano. Tale bombarda, una delle più potenti dell'epoca, pesava 48 tonnellate e per essere trainata necessitava di 50 coppie di buoi. Ognuna delle palle di cannone che era in grado di sparare pesava ben 300 chili. Tale cannone, tuttavia, per quanto potente era in grado di sparare solo sette volte al giorno, così come gli altri cannoni di maggiore portata. Tale cannoneggiamento causa diversi danni sulle mura, che per quanto possenti risalivano a prima dell'uso dei cannoni. Negli stessi giorni, Balta-ohglu tenta di nuovo di attaccare lo sbarramento sul Corno d'Oro, ma la gittata delle frecce e dell'artiglieria non è in grado di provocare danni alle difese di Costantinopoli. I rinforzi imperiali di Luca Notaras permettono inoltre di lanciare un contrattacco, costringendo l'ammiraglio turco a una ritirata presso la base di Diplokinion.
Dopo giorni di cannoneggiamenti, la cinta muraria esterna risulta quasi completamente demolita. Le forze difensive decidono allora di costruire una palizzata in legno e piazzano barili pieni di sabbia. Dopo il tramonto, la fanteria turca lancia un'offensiva contro la palizzata, ma nonostante la superiorità numerica vengono respinti dalle truppe di Costantinopoli. Secondo le cronache successive, nell'attacco sarebbero morti 200 turchi, mentre non ci sarebbero state perdite tra le truppe dell'Imperatore in questo assalto.
Il 20 Aprile, tre galee genovesi affittate da Papa Niccolò V Parentucelli (1447-1455) e guidate da Maurizio Cattaneo, Domenico da Novara e Battista da Felizzano, affiancate da una nave da trasporto greca guidata da Francesco Lecavella, arrivano nel Mar di Marmara dirette verso la città. I turchi mobilitano la loro flotta, nel tentativo di catturare o affondare le navi: ne nasce un inseguimento seguito da uno scontro.
Le galee risultano particolarmente alte e meglio equipaggiate delle navi turche, che tuttavia sono in netta superiorità numerica. Tuttavia, il mare agitato favorisce le galee. Quando si avvicinano alla città, le navi si scontrano: decine di imbarcazioni turche accerchiano le galee e tentano l'arrembaggio, ma i cannoni delle galee sono ben piazzati e riescono ad allontanare il pericolo. Il ritorno del vento fa in modo che le navi genovesi possano raggiungere il porto di Costantinopoli, dove sono accolte dalla folla festante. Le navi turche, invece, sono costrette alla ritirata: Mehmet II convoca Balta-ohglu e lo accusa di tradimento e viltà per non aver affondato le galee, tuttavia i suoi uomini ne difendono il coraggio, salvandolo dalla decapitazione. Viene tuttavia punito con la falaka (fustigazione delle piante dei piedi) e la confisca dei beni e fu allontanato da Costantinopoli (di lui non si avranno più notizie) e sostituito da Hamza Beg.
Il 21 Aprile, dopo la sconfitta navale, i turchi riprendono a cannoneggiare le mura e distruggono la torre di Baccaturea. Prendendo atto della superiorità navale dei difensori di Costantinopoli, il sultano Mehmet II ascolta il consiglio arrivatogli da un italiano, ovvero provare ad aggirare lo sbarramento navale del Corno d'Oro attraverso una strada che i turchi avevano già tracciato per aggirare Pera, trasportando attraverso essa le navi via terra.
Il 22 Aprile il sultano inizia le operazioni per caricare le navi su piattaforme mobili e dare inizio al trasporto. I capi militari della difesa di Costantinopoli studiano la contromossa, ma la situazione è complessa anche per via di varie divisioni interne. Una possibilità presa in considerazione è chiedere aiuto ai genovesi di stanza a Pera e attaccare in massa i turchi, ma il timore è dilungarsi eccessivamente nelle trattative. Si pensa anche a uno sbarco nella Valle delle Sorgenti per attaccare i cannoni turchi, ma si teme sia un'ipotesi troppo azzardata. Alla fine è Jacopo Cocco a far prevalere la sua idea, ovvero quella di attaccare la notte stessa le navi turche: tuttavia, il programma è rinviato alla notte del 24 e la notizia arriva anche ai genovesi, che sentendosi in competizione con i veneziani vogliono partecipare anche loro e fanno slittare ulteriormente l'operazione al 28 Aprile. La notizia, tuttavia, inizia a diffondersi per tutta Pera, e arriva anche a un genovese, identificato da alcune fonti col nome di Fauzio, che lavorava come informatore del sultano, e che da ai turchi la soffiata sull'operazione.
Miniatura francese dell'assedio di Costantinopoli tratta dai Voyages de Outremer di Bertrandon de la Borquiere (1455) |
Dopo giorni di preparativi, il 28 Aprile viene lanciata la sortita navale dai difensori di Costantinopoli. I turchi, avvisati dal loro informatore con una soffiata da una torre di Pera, sono pronti a rispondere. Due navi da trasporto, due galere guidate da Trevisan e da Zaccaria Grioni, tre fuste guidate dal Cocco e molte piccole imbarcazioni muovono verso le navi turche le quali tuttavia, prontamente informate dalla soffiata, aprono simultaneamente il fuoco: le navi di Cocco e Trevisan sono affondate, Cocco rimane ucciso. Dopo due ore di battaglia, le navi tornano ai rispettivi porti: i turchi uccidono i prigionieri sotto le mura di Costantinopoli, i costantinopolitani per rappresaglia uccidono i prigionieri turchi.
Nel frattempo, il sultano fa costruire un ponte di barili lungo il Corno d'Oro, di poco a monte della fortezza delle Blacherne.
I turchi riprendono dunque il loro incessante cannoneggiamento interrompendolo solo il 5 Maggio, quando il Mostro di Urban rimane fuori uso per un giorno, venendo rimesso all'opera il giorno successivo. Lo stesso giorno, una palla di cannone colpisce e affonda una nave mercantile genovese. Dopo le proteste liguri, gli ottomani rispondono che il loro caso sarebbe stato esposto al sultano solamente dopo aver conquistato la città, valutando l'opportuno risarcimento.
Il 7 Maggio i turchi tentano un nuovo assalto dopo il tramonto: si combatte per tre ore, e l'offensiva viene respinta. Negli scontri viene ucciso il portabandiera del Sultano, Amir Beg, tagliato in due da un soldato greco di nome Rhangabe.
Le forze di Costantinopoli continuano dunque a resistere, ma hanno bisogno di organizzarsi, e trasferiscono le navi nel Neorion, il porto piccolo, mentre mandano uomini e militari alle Blacherne per riparare le mura e difendere la zona. Non a caso è proprio alle Blacherne che i turchi lanciano il 12 Maggio un attacco su larga scala, con alcuni militari che riescono addirittura a infiltrarsi, prima di essere sopraffatti dall'arrivo dell'Imperatore Costantino XI in persona e della sua guardia. Ma questo non scoraggia i turchi, che continuano a compiere attacchi, mentre i difensori riparano i tratti di mura colpiti: dopo altri tentativi vani alle Blacherne (le mura sono particolarmente resistenti e la zona è altamente fortificata), il sultano fa spostare i cannoni nella valle del Lykus, e il 16 Maggio lancia un nuovo attacco contro lo sbarramento navale, replicando il giorno successivo, senza però ottenere risultati. La zone delle Blacherne era intanto stata interessata da tentativi di attacchi di mina con tunnel sotterranei da parte degli ottomani, ma i difensori di Costantinopoli riescono a scoprire i tunnel. Il giorno seguente il Megaduca Notaras ordina a Giovanni Grant, noto anche come Giovanni Alamanno, esperto di mine al servizio dei difensori di Costantinopoli, di contrattaccare con una contro-mina: l'attacco ha successo, diversi tunnel ottomani vengono demoliti.
La notte stessa, però, i turchi cercano un nuovo attacco contro l'area centrale delle mura, il Mesotechion. Viene costruita un'alta torre d'assedio in legno ricoperta di pelli e viene riempito un tratto del fossato di fronte alle mura, e si cerca con essa di superare le difese di Costantinopoli. Nella notte i difensori, con una rapida sortita, riescono a porre barili esplosivi sotto la torre, facendoli saltare in aria e distruggendo la torre. Nei giorni successivi, i turchi cercano attacchi simili contro le mura con torri più piccole, ma senza particolari risultati.
Il 21 Maggio i turchi continuano a compiere manovre navali presso lo sbarramento, ma non lanciano nessun attacco, probabilmente per paura di essere nuovamente sconfitti. Intanto, i difensori scoprono una mina sotto Porta Caligaria, permettendo a Notaras e Grant di rispondere con una contro-mina. Per uccidere i minatori turchi che tentano questo tipo di attacchi sotterranei vengono usati il fumo e l'acqua delle cisterne.
Il 23 Maggio, dopo aver individuato un'altra mina, i difensori di Costantinopoli riescono a catturare un ufficiale turco, che viene torturato affinché indichi la posizione di tutte le mine posizionate dagli assedianti. Grant, in base alle informazioni ottenute, inizia a eliminarle una ad una fino al giorno successivo, compresa una nascosta talmente bene che senza le informazioni ottenute sotto tortura dall'ufficiale turco non sarebbe mai stata individuata.
Il 24 Maggio un'imbarcazione arriva a Costantinopoli, e porta la notizia che la flotta veneziana non è stata vista in tutto l'Egeo. La speranza di un soccorso in tempi rapidi viene meno, e Costantino XI ne è addolorato. La notte si verifica un'eclissi di luna, e ciò scatena il panico: iniziano a circolare voci sul fatto che sia un presagio circa la fine della città, fondata da Costantino e che vedeva un altro imperatore con lo stesso nome alla sua guida. Va detto che, come sappiamo, che Costantino Dragases Paleologo è stato l'undicesimo imperatore con questo nome, cosa che rende difficile il paragone con le profezie su un secondo Papa di nome Pietro o il fatto che l'ultimo imperatore d'Occidente si sia chiamato Romolo Augustolo. In ogni caso, l'eclissi arrivò in un momento in cui la città era stretta sotto un assedio serrato e in cui si stavano perdendo le speranze di ricevere soccorsi, ed essendo ormai l'Impero poco più della sola città di Costantinopoli, il timore di una caduta era più che concreto, e i fatti lo hanno dimostrato. In città si fa una grande processione, cui viene portata l'Icona della Vergine Hodeghitria, che a un certo punto cade a terra e viene rialzata a fatica. Poi scoppia un nubifragio di vaste proporzioni, tanto che le strade sembrano torrenti in piena, secondo quanto raccontato da Niccolò Barbaro nella sua cronaca dell'assedio.
Il 25 Maggio i turchi continuano a portare avanti il loro bombardamento. Sulla cupola della Cattedrale di Santa Sofia si vede una luce: greci e ottomani danno significati religiosi all'evento, in base al loro credo. Altre luci compaiono nella campagna, qualcuno attribuisce un significato mistico, altri sperano sia un esercito che arriva in loro soccorso. I greci cercano di organizzare la fuga dell'Imperatore verso il Peloponneso, ancora in mano all'Impero Romano d'Oriente, ma egli, dopo uno svenimento dovuto alla spossatezza, rifiuta. Non vuole abbandonare il suo popolo nell'ora più difficile.
Il giorno seguente, mentre prosegue il bombardamento, un greco rinnegato di nome Ismail arriva a Costantinopoli come inviato. Un cittadino di Costantinopoli lo segue nella tenda di Mehmet II, dove ascolta le proposte del sultano e le riporta ai suoi concittadini, cercando di convincerli che possono ancora salvarsi. Le possibilità offerte dal sultano sono quelle di pagare 100.000 bisanti d'oro l'anno come tributo, o la possibilità per tutti gli abitanti di lasciare la città portando con sé i propri beni mobili e avere salva la vita. Ma dopo tanti sforzi per resistere all'assedio, nessuno vuole lasciare la città nelle mani degli ottomani, e sia l'Imperatore che il consiglio le respingono. Costantino XI offre la sua controproposta al sultano: tutti i suoi beni fatta eccezione la città, ma Mehmet II rifiuta, e replica che le uniche possibilità che è pronto a concedere ai greci sono la resa, la morte o la conversione all'Islam.
Mehmet II convoca allora i suoi consiglieri per decidere come procedere. Chalil Pascià, già Gran Visir del precedente sultano Murad II, è molto cauto e mette in dubbio l'opportunità di procedere con l'assedio. Fa notare che Venezia può inviare le sue navi da un momento all'altro, venendo seguita da Genova, e che gli ottomani via mare non sono alla loro altezza, e propone quindi di trattare con Costantino XI. Non è dello stesso avviso Saghanos Pascià, che ricorda come vi siano divisioni nello schieramento cristiano,e dubita che navi da Venezia o Genova siano in arrivo. Aggiunge anche facendo l'esempio di Alessandro Magno, che con un esercito relativamente piccolo conquistò una grande vastità di territori. I giovani generali lo acclamano, e Mehmet II è soddisfatto di avere l'appoggio a proseguire i combattimenti.
Costantino XI, invece, ordina dei lavori presso la Kerkoporta, per poterla utilizzare per le sue sortite contro i nemici.
Il giorno seguente i turchi riprendono il bombardamento, concentrandosi sulla palizzata del Mesotechion. Viene ferito il Giustiniani, che si allontana per farsi medicare e torna al suo posto. Mehmet II, intanto, passa in rassegna le truppe per annunciare loro che sarà lanciato l'assalto finale. Fa dunque consolidare le parti di fossato colmate per procedere meglio con l'attacco, quindi per il giorno seguente ordina un giorno di preghiera e riposo.
Il 28 Maggio Mehmet II si reca dunque presso il Diplokinion, dove si trovano le sue navi, e organizza l'attacco per il giorno seguente. Ordina ad Hamza Beg di assaltare ogni tratto di mura sul Mar di Marmara, quindi ordina lo stesso alle navi nel Corno d'Oro.
A Costantinopoli, intanto, sale la tensione. In giornata i turchi non sparano alcun colpo, ma la notizia dei preparativi per l'attacco finale è arrivata. Si registrano litigi tra veneziani, genovesi e greci. Ma si viene anche a formare una grande processione cui partecipano tutti, greci e latini, compreso l'Imperatore, e tutti intonano il Kyrie Eleison. Costantino XI convoca allora gli ufficiali, in un momento che dalle descrizioni risulta estremamente toccante. Parla ai greci, si rivolge loro ricordando il grande passato dei loro avi, e dice che un uomo deve essere sempre pronto a morire per il suo Paese, per la sua fede, per il suo sovrano e per il suo popolo e che, in quel momento, il popolo doveva essere pronto a morire per tutte e quattro queste cause. Si rivolge poi agli italiani, che ringrazia e abbraccia uno per uno, prima di chiedere loro perdono qualora avesse mai mancato loro in qualche occasione.
Tutti si recano poi, greci e latini, dentro Santa Sofia. Anche i più contrari all'unione tra cattolici e ortodossi pregano fianco a fianco agli altri, e si confessano a vicenda.
Gli ufficiali e i soldati si posizionano allora ai posti di combattimento: il grosso delle operazioni difensive si concentrano presso il Mesotechion, dove le porte sono sprangate, isolando le mura esterne. In poche parole: si tenta il tutto per tutto. Costantino XI percorre tutte le mura fino a raggiungere le Blacherne, dove si intrattiene per un'ora con l'amico Giorgio Frantzes.
E' l'una e mezzo di notte del 29 Maggio quando i turchi lanciano l'assalto finale. La prima ondata è quella dei Basci-Bazuk, lungo tutta l'estensione delle mura: sono pericolosi solo presso la valle del Lycus, dove le mura sono maggiormente danneggiate, ma sono respinti dall'intervento in prima persona di Costantino XI e del Giustiniani. Tuttavia, il tempo per riprendersi per i difensori è poco, e l'attacco si è fatto sicuramente sentire a livello di stanchezza: subito i turchi lanciano un nuovo attacco, sempre presso la valle del Lycus, da parte dei reggimenti anatolici di Ishaq Pascià. Questi ultimi sono ben più determinati dei Basci-Bazuk (questi ultimi infatti erano mercenari), ma il poco spazio di manovra li porta a subire un alto numero di perdite.
Ma quando l'attacco è iniziato da due ore, una cannonata del mostro di Urban colpisce la palizzata costruita dove le mura erano crollate, facendola saltare e confondendo i difensori, che restano annebbiati dalla polvere nera. Alcuni turchi riescono a entrare nella città, ma l'Imperatore in persona e le truppe greche li massacrano. I difensori riescono a tenere lungo tutte le mura, ma l'attacco è ancora in corso e arriva un'ondata di giannizzeri, guidati dal Sultano in persona. I giannizzeri sono tra le truppe meglio equipaggiate e più disciplinate ed esperte: cercano di lanciarsi con le scale lungo le mura, mentre tra i difensori, che combattono ininterrottamente da ore, la stanchezza inizia a farsi sentire. La distanza è ormai serrata e si combatte corpo a corpo.
I turchi si accorgono poi che al congiungimento tra le Mura Teodosiane e le Blacherne c'è una posterla che è rimasta aperta, la Kerkoporta. Molte fonti riportano che quanto segue sia avvenuto presso la Porta San Romano. Una cinquantina di turchi riesce a entrare in città, mentre Giustiniani è ferito. I genovesi sono confusi, e non vedendo Giustiniani temono che la città sia caduta, quindi si lanciano in maniera disordinata verso la porta. Costantino XI, con i suoi soldati greci, affronta da solo i turchi entrati nelle mura. Il Sultano si accorge delle difficoltà dei difensori, e grida che la città è presa, portando numerosi turchi a lanciarsi verso le mura, a partire da un gruppo di giannizzeri guidati da tale Hasan, militare di notevole statura. I greci riescono a contrattaccare, ma un gruppo di 17 turchi resiste come testa di ponte entro le mura, venendo gradualmente raggiunti da altri soldati.
Lo sfondamento turco nelle mura in un dipinto del Museo Topkapi |
I greci rimangono dentro le mura interne, presso la Kerkoporta spuntano stendardi ottomani. Restano a difendre l'Imperatore Costantino XI in persona, insieme al cugino Teofilo Paleologo, al nobile spagnolo Don Francisco De Toledo e a Giovanni Dalmata: per quanto possono resistono, finché Teofilo non decide di lanciarsi contro il nemico. Non vuole sopravvivere alla caduta della città. L'Imperatore segue il suo esempio, dopo essersi tolto le insegne imperiali. Non è chiaro se è questo lo sfondamento decisivo da cui i turchi entrano nella città, diverse cronache riportano notizie leggermente differenti. La notizia più diffusa nelle cronache parla della Porta San Romano (oggi nota come Porta Topkapi), ma c'è anche chi dice che tali episodi si siano svolti presso la Porta Pempton. Altri ancora ritengono che lo sfondamento sarebbe avvenuto presso la porta di San Romano proprio perché l'Imperatore e una grande quantità di truppe si erano dovuti concentrare presso la Kerkoporta, alleggerendo le difese a San Romano.
Le mura teodosiane presso Porta San Romano |
Intanto, i difensori sono in rotta: chi può fugge verso Pera e il Corno d'Oro, ma a mezzogiorno i turchi controllano l'intera città. Successivamente anche la colonia di Pera e la Torre di Galata saranno consegnate dai genovesi ai turchi.
Sulla morte di Costantino XI le notizie sono leggermente discordanti, anche se tutti sono concordi sul fatto che sia morto combattendo. In generale, la concitazione delle fasi finali dell'assedio della città ha dato adito a versioni alternative e a mescolare elementi diversi. La prima questione, come abbiamo visto, è il luogo della morte, poco chiaro: il fidato amico Giorgio Sfranze si limita a dire che Costantino XI cadde ucciso mentre non si trovava vicino a lui. E' altamente probabile che si fosse tolto le insegne imperiali prima di lanciarsi nell'ultimo assalto, ma una volta caduta la città Maometto II avrebbe cercato il suo corpo e secondo alcuni potrebbe essere stato trovato e riconosciuto per via degli stivali color porpora, che solo gli imperatori potevano indossare. Una versione dice che il Sultano avrebbe fatto porre la testa dell'Imperatore sulla Colonna di Costantino, come atto di umiliazione per l'Impero che aveva appena sconfitto. Chi ritiene che il corpo sia stato individuato dal Sultano, ritiene anche che sia stato posto in una fossa comune, così da evitare che una tomba potesse diventare oggetto di pellegrinaggio.
I turchi, intanto, ebbero tre giorni per razziare la città: il Sultano aveva detto che il suo interesse sarebbe stato esclusivamente per gli edifici, mentre i beni sarebbero stati divisi equamente tra le truppe. Molti greci e latini che avevano difeso Costantinopoli rimangono uccisi, a partire dall'Imperatore e dal cugino Teofilo, altri vengono tratti prigionieri a Pera e tenuti fino al pagamento di un riscatto. Tra di loro ci sono i nobili veneziani, così come il Cardinale Isidoro di Kiev e l'Arcivescovo Leonardo di Chio, questi ultimi probabilmente non riconosciuti. Qualcuno, come il Patriarca Atanasio II e come Girolamo Minotto, viene invece giustiziato. Riescono a fuggire e mettersi in salvo altri, a partire da Giovanni Giustiniani Longo: quest'ultimo, tuttavia, morirà a Chio per le ferite riportate nella battaglia. Luca Notaras in un primo momento viene graziato, ma è poi giustiziato. Lo storico Steven Ruciman riporta un episodio specifico a riguardo: parla di un banchetto tenuto il 3 Giugno da Mehmet II il quale avrebbe ordinato di prelevare il giovane figlio di Notaras, Isacco (Iacobo nelle fonti occidentali) perché fosse fatto prigioniero degli ottomani. Il Notaras tuttavia si oppose, e venne perciò giustiziato, così come il figlio e il cognato, figlio di Andronico Cantacuzeno. La moglie fu fatta schiava e morì sulla strada per Edirne. La versione di Ruciman combacia in gran parte con quella dello storico greco Ducas, che per quanto coevo dei fatti narrati non si trovava a Costantinopoli nei giorni dell'assedio
Giorgio Sfranze, dopo essere stato catturato e liberato, fuggì invece in Morea, alla corte di Tommaso Paleologo, rimanendo al suo servizio fino alla caduta di questo territorio nel 1460, dopo di che si trasferì a Corfù, in Italia e di nuovo a Corfù.
Il principe Orhan, rivale di Mehmet che si era schierato con i greci, morì suicida appena la città iniziò a cadere.
"Non lasciarono in vita un solo abitante all'interno della città: non latino, non greco, non armeno, non ebreo, non qualsiasi altro. La città di Costantinopoli è morta e non c'è più ora in essa alcun segno di vita", scrisse il Cardinale Isidoro di Kiev nel descrivere i giorni immediatamente successivi alla conquista turca.
Dal lato ottomano, Mehmet II fu ricordato come Il Conquistatore, "Fatih", per aver conquistato ad appena 21 anni la città di Costantinopoli. Suo obiettivo, dopo la conquista della Seconda Roma, che i turchi chiamavano Kizil Elma, "La Mela Rossa", fu quello di conquistare Roma. In questo modo sarebbe potuto essere il successore degli Imperatori Romani. Questo fatto può apparire insolito, eppure gli ottomani all'epoca tenevano a questo aspetto. Dopo la presa di Costantinopoli, ad esempio, Mehmet II si autoproclamò Kayser-i-Rum, "Imperatore dei Romani". Lo stesso titolo che era stato fino a pochi giorni prima di Costantino XI. Nel 1454 nominò Gennadio II Patriarca Ortodosso di Costantinopoli: si trattava di uno dei più acerrimi oppositori dell'unione tra Cattolici e Ortodossi. Gennadio ottenne garanzie per la popolazione greca dell'Impero Ottomano e riconobbe il ruolo di Kayser-i-Rum di Mehmet: un mosaico presso il Patriarcato di Fanari mostra insieme Gennadio e Mehmet. Il Sultano proseguì la sua campagna di conquiste, procedendo verso la Serbia ma venendo respinto a Belgrado nel 1456 dall'esercito di Giovanni Hunyadi e San Giovanni da Capestrano, ma riprese le sue campagne prendendo il controllo della Morea nel 1460 e di Trebisonda nel 1461, gli ultimi due territori legati ai Paleologi. Nelle sue campagne nei Balcani trovò l'opposizione di Vlad III di Valacchia e Stefano il Grande di Moldavia, oltre a Giorgio Castriota Scanderbeg, che fu però sconfitto nel 1468 e dovette riparare in Italia (a Roma è presente il suo palazzo). Tentò senza successo di assediare Rodi, venendo sconfitto nel 1480 dai Cavalieri Ospedalieri, e tentò di puntare all'Italia, sbarcando a Otranto nel 1480 ma venendo respinto l'anno successivo da un esercito cristiano voluto da Papa Sisto IV Della Rovere (1471-1484). Durante l'occupazione di Otranto vennero uccisi 813 abitanti della città, oggi venerati dalla Chiesa Cattolica come Santi Antonio Primaldo e Compagni, e noti come Martiri di Otranto, i cui resti sono conservati nella Cattedrale della città salentina. Mehmet II morì nel 1481.
Zaghanos Pascià, che aveva suggerito di andare avanti con l'assedio nel Consiglio convocato dal Sultano negli ultimi giorni di combattimento, fu proclamato Gran Visir, e riscattò alcuni veneziani fatti prigionieri nell'assedio, a partire da Jacopo Contarini, accrescendo così il suo prestigio agli occhi della Repubblica di Venezia. Finì ai margini della corte dopo la sconfitta nell'assedio di Belgrado, ma venne poi nominato Kapudan Pascià.
Già con la crisi finale dell'Impero Romano d'Oriente, molti intellettuali greci trovarono rifugio in Italia, ma con la caduta dei suoi ultimi territori questo fenomeno ebbe un'accelerazione. La presenza di tanti eruditi contribuì ad aumentare il livello del Rinascimento Italiano, che come sappiamo ha raggiunto altissimi livelli nelle arti e nella letteratura. Diversi personaggi in qualche modo legati all'assedio compaiono negli affreschi della Cappella dei Magi di Palazzo Medici Riccardi a Firenze, opera di Benozzo Gozzoli. Questo perché Benozzo vide a Firenze l'arrivo dei dignitari di Costantinopoli per il Concilio che avrebbe dovuto sancire la riunificazione tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa, e così ebbe occasione di raffigurarli in questa sua opera del 1459.
Una considerazione va fatta sulla figura di Costantino XI Dragases Paleologo, ultimo Imperatore Romano d'Oriente. Visto il suo ruolo viene spontaneo un paragone con l'ultimo Imperatore d'Occidente, Romolo Augustolo, ma parliamo di due figure estremamente diverse e non a caso ricordate in modo estremamente diverso. Romolo Augustolo, appena 12enne o 14enne a seconda delle fonti, si trovò imperatore quasi per caso a seguito di lotte intestine, venne deposto senza grandi possibilità di resistenza da Odoacre, Re degli Eruli. Odoacre sarebbe di lì a poco stato spazzato via da Teodorico, e degli Eruli dopo Odoacre si sa ben poco.
Costantino XI, diversamente, resistette il più possibile a un assedio serrato cui sarebbe stato davvero difficile uscire vincitori, spendendosi all'inversosimile e morendo in battaglia. Il suo impegno per cercare l'unità della Chiesa ha anche fatto sì che sia venerato come Santo dalla Chiesa Ortodossa. Oggi in molte città della Grecia è possibile trovare una sua statua, a testimonianza della riconoscenza che gli è tributata, riconoscenza che si può vedere anche nella canzone greca Θά'ρθεις σαν αστραπή di Stamatis Spanoudakis, che parla proprio dell'assedio di Costantinopoli.
Per quanto riguarda Costantinopoli, la città era già nota con più di un nome: l'antico Bisanzio, come il luogo in cui i greci avevano costruito la colonia su cui poi l'imperatore Costantino avrebbe fondato Costantinopoli, era ancora in parte in uso, soprattutto in circostanze specifiche. Si pensi ad esempio che le monete coniate dall'Impero Romano d'Oriente erano chiamate "bisanti". L'arrivo dei turchi fece sì che la città venisse chiamata in turco Kostantinya, ma che a esso si affiancasse un nuovo nome, Istanbul. Questo deriverebbe dal fatto che i turchi sentirono dire spesso, una volta in città, la frase εις την Πόλιν, "eis tin Polin", che vuol dire in greco "nella Città", dal momento che gli abitanti di Costantinopoli spesso si riferivano a essa semplicemente come "la Città". E così molti turchi lo interpretarono come un nome, che sarebbe divenuto Istanbul. Non si tratta dell'unico caso simile, e molti nomi turchi di città greche ricordano il nome greco munito di articolo: Nicea diventa Iznik, Nicomedia diventa Iznikmit, Amisos diventa Samsun, Kos invece diventa Istankoy, solo per fare alcuni esempi. I turchi, tuttavia, chiamarono la città sia Istanbul (o in una sua variante Stamboul) che Kostantinya fino agli anni '20 del XX Secolo, quanto la nuova Repubblica Turca di Ataturk introdusse l'alfabeto latino e ufficializzò i nomi turchi di tutte le città, scegliendo quello di Istanbul per quella che nel mondo era ancora nota come Costantinopoli. A tale riguardo, nel 1930 Ataturk chiese ai Paesi stranieri di adeguarsi nell'usare i nomi ufficiali delle città turche, anziché i nomi in altre lingue o la semplice traslitterazione dall'arabo. Gli Stati Uniti furono tra i primi, nel 1930, a iniziare a usare Istanbul anziché Costantinopoli nei documenti ufficiali, contribuendo a favorire la diffusione del nome.
Ovviamente quello del nome non fu l'unico cambiamento: molte Chiese vennero trasformate in Moschee, a partire dalla Santa Sofia. Quest'ultima rappresenta ancora oggi una ragione di tensioni anche a livello internazionale: in principio qui sorse una Chiesa ai tempi di Costantino, la Megale Ekklesia, demolita ai tempi della rivolta di Nika e sostituita con la Hagia Sophia, la cui costruizione iniziò nel 532. La Basilica divenne Cristiana Ortodossa dopo lo scisma del 1054, quindi Cattolica dal 1204 al 1267, durante il periodo del Regno Latino, poi fu Moschea dal 1453, anno in cui i turchi entrarono a Costantinopoli, al 1935, quando Ataturk volle trasformarla in un museo. Nel 2020 l'edificio è divenuto nuovamente un Moschea dopo che il Consiglio di Stato turco ha annullato il decreto che aveva tramutato l'edificio in un museo, suscitando numerose proteste e perplessità nel mondo Cristiano e nella comunità internazionale.
Oltre a questo, alla presa di Costantinopoli fece seguito lo spostamento della corte ottomana da Edirne alla città appena conquistata. Ne seguì un ripopolamento da parte dei turchi, che divennero la maggioranza in una città fino a quel momento abitata da greci con minoranze di armeni, latini ed ebrei. Lo stesso Mehmet II dette un impulso importante nella ricostruzione della città, cui il secolo successivo seguì quello del Sultano Solimano il Magnifico, sovrano ottomano dal 1520 al 1566.
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