In Via della Navicella, nel Rione Celio, si può scorgere un pregevole mosaico all'interno di un'edicola in marmo posta sopra un portale e raffigurante Cristo nell'atto di liberare due schiavi. Tale mosaico si trova su un muro del complesso della Chiesa di San Tommaso in Formis, sorta nel X Secolo e donata nel 1207 dal Papa Innocenzo III ai Trinitari.
Fu in quell'occasione che San Giovanni De Matha, fondatore dell'Ordine dei Trinitari, decise di creare due anni dopo un'ospedale presso il convento della Chiesa per ospitare e prendersi cura degli schiavi che riscattavano.
Il mosaico raffigura Cristo seduto su un trono con ai lati due piccole figure di schiavi, uno bianco e uno nero, il primo con una croce in mano. Quest'ultimo è tenuto per un polso da Cristo, nell'atto di liberarlo, e le catene che ha alle caviglie si spezzano. Diversamente l'altro schiavo, toccato anche lui da Cristo, tiene in una mano uno scudiscio, resta con le catene chiuse. Ai bordi del mosaico è presente la scritta: Signum Ordinis Sanctae Trinitatis Capitorum. Si tratta di una simbologia: Cristo libera tutti gli schiavi, ma per il moro la vera liberazione può arrivare solo se avviene anche la conversione.
Tale iconografia deriva da una visione avuta da San Giovanni De Matha il 28 Febbraio 1193, mentre teneva la sua prima messa, quando vide un uomo dal volto radioso tenere per le mani due uomini, uno bianco e l'altro nero, uno provato e macilento e l'altro deforme ed entrambi con le catene alle caviglie. L'uomo intimò di liberare entrambi gli uomini, e San Giovanni De Matha decise per questo che la sua missione sarebbe stata la liberazione degli schiavi che venivano rastrellati in massa e portati in Nordafrica dai pirati. Così, fondò l'Ordine dei Trinitari.
La battaglia di Ponte Milvio dipinta da Raffaello nelle Stanze Vaticane
Il 28 Ottobre del 312 dopo Cristo, le truppe di Costantino sconfissero quelle di Massenzio nella celebre battaglia di Ponte Milvio, uno scontro armato dall'importante significato non solo storico ma anche religioso.
Dal 306 l'Impero Romano era sconvolto da una guerra civile causata dalla crisi del sistema tetrarchico messo in piedi da Diocleziano nel 293, con Cesari e Augusti che ben presto non si riconobbero a vicenda, dividendosi in numerose quanto frammentarie fazioni.
Nel 312 Costantino, proclamato Cesare nel 306 alla morte del padre Costanzo Cloro, mosse verso Roma contro Massenzio, che lo stesso anno era stato acclamato Augusto e controllava l'Italia e l'Africa. Una volta entrato in Italia, Costantino sconfisse le truppe di Massenzio prima nella battaglia di Torino e quindi a Verona, da cui si diresse verso Roma tramite la Via Flaminia in cerca dello scontro decisivo contro il suo avversario.
Giunto in prossimità della Capitale, si accampò nella località di Malborghetto, presso Prima Porta.
La tradizione vuole che proprio mentre fosse accampato qui, la sera prima della battaglia, Costantino ebbe una visione, cui la battaglia e la sua memoria sono strettamente legate. Tale visione è leggermente diversa tra le diverse fonti, ma la sua sostanza rimane la stessa. Secondo Lattanzio, Costantino ebbe una visione in cui gli si chiedeva di apporre sugli scudi dei propri soldati "Un segno riferito a Cristo", e decise di porvi uno staurogramma, una Croce Latina con una "P" nella parte superiore. Eusebio, invece, riporta due versioni differenti: nella "Storia Ecclesiastica" si limita a parlare di un aiuto da parte di Dio nei confronti di Costantino, mentre nella "Vita di Costantino" parla di una croce di luce sotto la quale comparve la scritta Εν Τουτω Νικα, "Con questa vinci", che sarà latinizzata in "In Hoc Signo Vinces". Costantino non avrebbe compreso la visione, ma la sera ebbe un sogno in cui Cristo gli spiegò che avrebbe dovuto usare il segno della croce contro i suoi nemici. Eusebio spiega poi che nell'ultima battaglia della guerra civile Costantino usò labari con il simbolo del "Chi-Rho".
L'Apparizione della Croce a Costantino, raffigurata da Raffaello nelle Stanze Vaticane
Il 28 Ottobre, Costantino ingaggiò lo scontro decisivo con Massenzio lungo la Flaminia presso Saxa Rubra. Le fonti sono discordanti, ma dalla parte di Costantino ci sarebbero stati tra i 40.000 e i 98.000 uomini armati, tra fanti e cavalieri di cui molti di origine celtica e germanica, mentre Massenzio poteva contare su una forza compresa tra i 100.000 e i 198.000 uomini, principalmente Romani, Italici, Siculi e Africani.
Nello scontro di Saxa Rubra gli uomini di Massenzio ebbero una completa disfatta, che li portò a ritirarsi verso Ponte Milvio, con l'obiettivo di varcare il Tevere e usarlo come barriera naturale, fu infatti demolita l'ultima arcata del ponte per renderlo inservibile.
Nell'ultima parte della battaglia i Pretoriani di Massenzio cercarono di fermare il nemico sul ponte di barche.
Proprio in questa fase Massenzio, che stava attraversando il ponte provvisorio realizzato per far passare le truppe, cadde nel Fiume, annegando.
La vittoria di Costantino fu decisiva nello scontro con Massenzio, e venne accolto trionfalmente a Roma. Dedicò la vittoria al Dio dei Cristiani e, come già dal 306 aveva fatto in Gallia e Britannia, pose fine alle persecuzioni, arrivando nel 313 a proclamare l'Editto di Milano, che concesse libertà di culto in tutto l'Impero, permettendo ai Cristiani di professare liberamente la loro religione. La vittoria, e la tradizione della visione della Croce, rappresentano un episodio molto importante per la tradizione Cristiana, che attribuisce una notevole importanza alla battaglia nell'ambito della diffusione del Cristianesimo nell'Impero Romano.
Piero della Francesca, Battaglia di Costantino contro Massenzio, San Francesco, Arezzo
Tale battaglia e la visione di Costantino sono infatti raffigurate in numerose opere d'arte.
Dopo la battaglia Costantino volle realizzare nella zona di Malborghetto, dove fece accampare il suo esercito, un grande arco trionfale, che negli anni è stato riutilizzato e ha visto il suo aspetto alterato.
La Villa La Nuova Officina era una villa oggi non più esistente del Quartiere Pinciano, si trovava in Largo dei Monti Parioli n. 5.
La villa fu costruita dall'architetto Cesare Bazzani come propria residenza privata nel 1928 in uno stile barocchetto Romano, abbandonando la precedente Villa Bazzani.
L'edificio era posto sulla rupe dei Monti Parioli prospiciente la Valle Giulia posta poco più a sud di Villa Carrega di Lucedio, all'epoca infatti non esisteva ancora l'odierna Viale Bruno Buozzi. Come Villa Carrega l'edificio era posto in una posizione panoramica che guardava l'intera città di Roma per questo Bazzani lo dotò di terrazze, loggiati e altane panoramiche.
La villa era dotata anteriormente di un ampio terrazzamento posto su un terrapieno, decorato di obelischi.
L'edificio aveva una una loggia ad arcate al primo piano con una terrazza prospiciente, la parete laterale, verso Villa Giulia, era occupata da un corpo curvilineo convesso. Le finestre del primo piano erano ad arco con architrave arcuato. Superiormente era posta un'ampia terrazza su cui si trovava una grande altana a tre arcate con ulteriore terrazza sommitale.
Negli anni 60 la villa è stata barbaramente demolita per permettere la costruzione di una palazzina di cinque piani. Oggi rimane soltanto il cancello d'ingresso in Largo dei Monti Parioli e alcuni terrapieni originali del giardino.
Villa Carrega di Lucedio è una villa che sorge su un'altura panoramica dei Monti Parioli, con ingresso in Largo dei Monti Parioli n 3, nel Quartiere Pinciano.
Fu realizzata da Giovanni Battista Milani nel 1912 per il Principe Francesco Carrega di Lucedio, che dal 1902 aveva stabilito la propria residenza a Roma.
L'edificio è costruito su un costone di roccia a picco sulla Valle Giulia, appartenente a Villa Balestra, è dotato di un massiccio basamento a terrapieno in mattoni su cui si aprono alcune finestre sormontato da una grande terrazza balaustrata.
La villa ha una pianta quadrangolare e si sviluppa su 5 piani, la facciata più articolata è quella rivolta verso la valle, che è dotata di loggiati e terrazze panoramiche, tra cui spicca la grande loggia di accesso al giardino, su colonne coronzie, ed è caratterizzata anche della grande torre quadrata, posta all'angolo sinistro, sormontata da una grande loggia con colonne corinzie.
I due piani terreni sono rivestiti da bugne lisce mentre gli altri sono in cortina laterizia con bugnato angolare. Le finestre del piano nobile sono architravate con timpani, la torre è decorata da un balcone che la ricopre per tutta la lunghezza, al piano nobile, e da un grande stemma angolare della famiglia Carrega di Lucedio.
La facciata su Largo dei Monti Parioli
Nel 1955 è stata lasciata alla Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù che ne hanno fatto la casa generalizia dell'ordine.
I lavori di ampliamento furono eseguiti dall'architetto Tullio Passarelli e comportarono la soprelezazione di un piano con la perdita dei tetti originali aggettanti, la trasformazione del salone da ballo in cappella e la perdita di alcuni elementi come il grande velario in vetrate Liberty.
L'ingresso peedonale alla villa
Nel 2011 la villa è stata venduta ad una società che ne ha operato una completa ristrutturazione per realizzare abitazioni di lusso, così come avvenuto a Villa Titta Ruffo.
L'edificio, catalogato dal Comune di Roma come "di rilevante interesse storico" non ha potuto ricevere modifiche alle facciate esterne. Gli stucchi e i soffitti interni, non vincolati dalla Soprintendenza, sono stati irrimediabilmente distrutti, la loggia sulla terrazza al piano terra è stata frazionata, si sono salvati lo scalone con balaustra e alcuni dettagli architettonici, tra cui alcune colonne presenti al piano terra.
A segment of the video of Sabaton's song "Coat of Arms"
The Ohi Day, which in English can be translated as "No Day", is an episode in Greek and Italian history, today celebrated by the Greeks as a national holiday every October 28. This celebration dates back to when on October 28, 1940 the Greek Prime Minister Ioannis Metaxas replied "No" to the ultimatum sent to him by Italy in which Greece was asked to allow Italian troops to occupy some strategic points of the country until the conflict with the United Kingdom: an ultimatum that many historians believe to be a pretext for starting a conflict and invading Greece, to which Italy had aimed its expansionist aims and which it had already teased with various provocative actions. The subsequent conflict turned out to be a real disaster for the Italian Army, and Greece celebrates Ohi Day for this, despite the consequences of the Italian defeat leading to the dramatic Nazi invasion of Greece.
Ma andiamo a vedere nello specifico le ragioni che hanno portato all'ultimatum italiano.
In 1939 the Second World War broke out, in which Italy, which in a few years had fought the War of Ethiopia, the Spanish Civil War and the invasion of Albania, had initially remained neutral as it was not yet equipped to intervene. in the conflict after so many expensive interventions. Despite this Benito Mussolini, faced with the initial successes of Germany, had decided to burn the times, entering the war in June 1940. However, not wanting to flatten his position on the German one, he wanted Italy to fight a war parallel to that Germany, focusing on its ambitions of expansion in the Mediterranean and in the Balkans even beyond the ongoing conflict with France and the United Kingdom. Mussolini, probably made too optimistic by the successes achieved in the previous wars and by the initial German results in the Second World War, began to study military operations in the most disparate theaters of war, such as southern France, Corsica, Tunisia, Yugoslavia and Greece without an effective long-term strategy.
However, the initial aims of a Yugoslav invasion were stopped by Germany, since the Belgrade government had shown sympathy towards the Axis. Against Greece, on the other hand, a series of aggressive and provocative actions had been set up, proving that the path for an intervention was to be considered viable. Cesare Maria De Vecchi, governor of the Italian Dodecanese, accused the Greek government on several occasions of supporting British ships, while Galeazzo Ciano, at the time Foreign Minister, began an anti-Greek propaganda campaign, claiming that Athens abused the Albanian minority (Albania was under Italian control) who lived in the region of Ciamuria, in Epirus. This Italian attitude reached its peak on August 15, when De Vecchi ordered the submarine Delfino to strike the merchant traffic in support of the United Kingdom, including neutral ships. The action led to the sinking of the Greek cruiser Elli, which was located near the island of Tino, home to an important Orthodox sanctuary, representing the government to take part in the feast of the Assumption of Mary. The Italian government blamed the British for the accident, but the tension between Rome and Athens was growing higher.
In October, the Italian government now seemed to want to provisionally put aside any autonomous war action given the approach of winter, so much so that many soldiers were sent on leave. However, the breakthrough came when Germany invaded Romania, with the aim of taking control of the local oil fields. Mussolini did not take well the unilateral and very important action of his ally, and was afraid of being put in the background again. Thus he decided that Italy should wage war against Greece.
The Athens government, however, was by no means hostile to Italy until the start of the 1940 provocations. Prime Minister Ioannis Metaxas, while not explicitly calling himself a fascist, led a regime from 1936 that was very similar to that of Mussolini, which he showed to draw inspiration from through, for example, the institution of the Roman salute. Metaxas feared a military confrontation with Bulgaria much more, so much so that he had built a system of fortifications on the border known as the "Metaxas Line", due to the traditional Bulgarian claims on Thrace and Thessaloniki, while maintaining close relations with Italy .
Much more than cordial relations that had begun to crack in 1939 with the Italian occupation of Albania and which, as we saw in 1940, had begun to progressively deteriorate.
The directions of the invasion of Greece in the Italian military plans of 1940
Once the action against Greece was decided, Mussolini summoned the army leaders (without calling into question members of the navy and air force, proof of a confusion and an underlying emotionalism in the war action) and ordered to wage war by the end of October with an action that represented the combination of the invasion plans taken into consideration over the years: Mussolini therefore wanted on the one hand a penetration into Epirus up to the strategic port of Preveza and contextual occupation of the Ionian Islands and, on the other hand, pressure on Thessaloniki starting from the Albanian city of Corizza. At a later time, the troops would have to move to peninsular Greece and Athens.
As a pretext, Mussolini asked to create an ad hoc border incident that would allow war action to be put in place by the end of October. Thus it was that following some of these incidents, the Italian ambassador in Athens Emanuele Grazzi was sent to Metaxas on October 28 (moreover, the anniversary of the March on Rome) to deliver him an ultimatum, written in all respects in such a way as to be technically inadmissible for Greece. This ultimatum asked to allow Italy to occupy unidentified Greek strategic points that would have allowed it to fight against the United Kingdom, otherwise threatening war actions. To the ambassador's attempts to convince Metaxas to avoid a conflict by meeting the Italian requests, the Prime Minister replied by clarifying that this ultimatum was inadmissible, since in the three hours allowed to accept the requests he would not even have had time to impart the ' order to the troops, in addition to the fact that the strategic places to be occupied were not specified. In the historic conversation between the two, held in French, the diplomatic language of the time, Metaxas said "So it's war". "Not necessarily, Excellency", Grazzi replied, but Metaxas replied "No, it is necessary". The latter no, Ohi in Greek, entered Hellenic history as O Megalo Ohi, the great no.
A cartoon taken from Sabaton's "Coat of Arms" video shows Metaxas tearing up the Italian ultimatum
The conflict, which Italy thought it would win easily, quickly turned into a disaster: the country had come from numerous conflicts in recent years, and had organized the Greek campaign very quickly, without even developing particularly complex strategies. Athens, for example, feared above all amphibious attacks on the Peloponnese that Italy did not even consider. But beyond that, it was a conflict that Italy waged against a historically similar and friendly country over the millennia, but as we know the war too often pits friends and brothers against each other without any sense. Greece managed to repel the attempted Italian penetration into Epirus, launching a counter-offensive which led to the occupation of southern Albania and in 1941 forced Italy to ask for help from Germany. Metaxas died in 1941 of septicemia, shortly before the Germans invaded Greece, then sharing it with Italy and Bulgaria. After the Second World War, Greece started celebrating October 28 as a national holiday, under the name of Ohi Festival. The echo of the great no pronounced by Metaxas means that today the memory of the former dictator is something controversial and unusual: on the one hand he is remembered as a dictator who has set up a regime with ferocious features, but at the same time his no to the Italian ultimatum, celebrated as a national holiday, is still praised today.
The events of Ohi day and the failed Italian campaign in Greece are also narrated in the song "Coat of Arms" by the Swedish metal group Sabaton.
La Fontana della Navicella si trova in Via della Navicella, nel Rione Celio, di fronte alla Chiesa di Santa Maria in Domnica.
L'attuale scultura raffigurante una navicella è stata realizzata nel 1518-1519 per volontà di Papa Leone X Medici (1513-1521), del quale porta lo stemma, ed è probabilmente stata disegnata da Andrea Sanovino, il quale si è ispirato a un'altra statua della Navicella che qui esisteva in precedenza, come spiega Pomponio Leto nel 1484. Non è chiaro quale fosse l'origine di tale scultura raffigurante un'imbarcazione: una tradizione vuole che fosse un ex voto di un militare dei Castra Peregrina, un castrum che si trovava in quest'area in cui risiedevano i Milites Peregrini, un corpo speciale dell'esercito romano, che lo aveva voluto realizzare dopo essere scampato a un naufragio. Altri ritengono fosse stato voluto da un marinaio della flotta di Capo Miseno, che si occupava delle complesse manovre dell'ampio velario del Colosseo.
La navicella nel 1756
Quale che fosse la funzione dell'originale navicella, sappiamo che non era posta su una fontana, così come originariamente non lo era neanche la nuova navicella del Sansovino. Solo nel 1931, infatti, quando venne sistemata l'area della Chiesa, la Navicella fu posizionata sulla nuova fontana alimentata dall'Acqua Felice.
L'Albergo del Sole è un hotel situato in Piazza della Rotonda n. 63, nel Rione Colonna.
Si tratta di uno dei più antichi alberghi di Roma ancora esistenti, le sue origini risalgono alla metà del 1400, quando fu installato nella piazza del Pantheon, che allora ospitava il mercato.
Il primo documento che abbiamo è del 1497, quando vengono citati alcuni ufficiali al seguito dell'Imperatore Federico III che alloggiarono nella Locanda del Montone, nome originario dell'albergo.
Nel 1500 appartenne alla famiglia degli Alberini, poi passò ai Turchi e quindi al chierico Giovanni Bitonto, nel 1600 la proprietà divenne delle monache Benedettine di Santa Maria in Campo Marzio e cambiò il nome in Albergo del Sole.
Il 1968 l'albergo fu ceduto dalla famiglia Muzi, che lo possedeva dall'Ottocento, e i nuovi proprietari realizzarono un importante restauro interno.
La facciata in laterizio, ha un'impronta quattrocentesca, con finestre ad arco incorniciate da clipei e da una trabeazione, ai primi due piani, mentre l'ultimo livello, una volta occupato da un loggiato, è dotato di semplici finestre.
Nello storico edificio hanno soggiornato ospiti illustri, quali Ludovico Ariosto, Cagliostro e Pietro Mascagni.
Un segmento del video della canzone dei Sabaton "Coat of Arms"
Il Giorno dell'Ochi, che in italiano può tradursi "Giorno del No", è un episodio della storia greca e italiana, oggi celebrato dai greci come festa nazionale ogni 28 Ottobre. Tale celebrazione risale a quando il 28 Ottobre 1940 il Primo ministro greco Ioannis Metaxas rispose di no all'ultimatum inviatogli dall'Italia in cui si chiedeva alla Grecia di permettere alle truppe italiane di occupare alcuni punti strategici del Paese fino alla conclusione del conflitto con il Regno Unito: un ultimatum che molti storici ritengono un pretesto per iniziare un conflitto e invadere la Grecia, cui l'Italia aveva rivolto le proprie mire espansionistiche e che aveva già stuzzicato con diverse azioni provocatorie. Il conflitto successivo si rivelò per l'Esercito Italiano un vero disastro, e la Grecia celebra per questo il Giorno dell'Ochi, nonostante le conseguenze della sconfitta italiana portarono alla drammatica invasione nazista della Grecia.
Ma andiamo a vedere nello specifico le ragioni che hanno portato all'ultimatum italiano.
Nel 1939 era scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, in cui l'Italia, che in pochi anni aveva combattuto la Guerra d'Etiopia, la Guerra Civile Spagnola e l'invasione dell'Albania, era rimasta inizialmente neutrale in quanto non ancora attrezzata a intervenire nel conflitto dopo tanti dispendiosi interventi. Nonostante questo Benito Mussolini, di fronte agli iniziali successi della Germania, aveva deciso di bruciare i tempi, entrando in guerra nel Giugno 1940. Tuttavia, non volendo appiattire la sua posizione su quella tedesca, voleva che l'Italia combattesse una guerra parallela a quella tedesca, concentrandosi sulle proprie ambizioni di espansione nel Mediterraneo e nei Balcani anche al di là del conflitto in corso con Francia e Regno Unito. Mussolini, probabilmente reso troppo ottimista dai successi conseguiti nelle guerre precedenti e dagli iniziali risultati tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale, iniziò a studiare operazioni militari nei più disparati teatri bellici, come la Francia meridionale, la Corsica, la Tunisia, la Jugoslavia e la Grecia senza un'effettiva strategia sul lungo termine.
Le iniziali mire verso un'invasione jugoslava vennero tuttavia fermate dalla Germania, dal momento che il governo di Belgrado aveva mostrato simpatie verso l'Asse. Nei confronti della Grecia, invece, erano state messe in piedi una serie di azioni aggressive e provocatorie, a prova che la pista di un intervento era da ritenersi percorribile. Cesare Maria De Vecchi, governatore del Dodecaneso italiano, accusò in più occasioni il governo ellenico di dare sostegno alle navi britanniche, mentre Galeazzo Ciano, all'epoca Ministro degli Esteri, iniziò una campagna di propaganda anti-greca, sostenendo che Atene compisse soprusi sulla minoranza albanese (l'Albania era sotto il controllo italiano) che abitava la regione della Ciamuria, in Epiro. Tale atteggiamento italiano raggiunse il culmine il 15 Agosto, quando De Vecchi ordinò al sommergibile Delfino di colpire il traffico mercantile a sostegno del Regno Unito, comprese le navi neutrali. L'azione portò all'affondamento dell'incrociatore greco Elli, che si trovava presso l'isola di Tino, sede di un importante santuario ortodosso, in rappresentanza del governo per prendere parte alla festa dell'Assunzione di Maria. Il governo italiano incolpò dell'incidente i britannici, ma la tensione tra Roma e Atene si faceva sempre più alta.
Nel mese di ottobre, il governo italiano sembrava ormai voler accantonare provvisoriamente qualsiasi azione bellica autonoma visto l'avvicinarsi dell'inverno, tanto che numerosi militari vennero mandati in congedo. Tuttavia, la svolta arrivò quando la Germania aveva inviato le proprie truppe in Romania, con l'obiettivo di prendere il controllo dei campi petroliferi locali e per difendere il Paese, che si stava schierando con l'Asse, da possibili attacchi sovietici. Mussolini non prese bene l'azione unilaterale e molto importante dell'alleato, e temeva di essere nuovamente messo in secondo piano. Decise così che l'Italia avrebbe dovuto muovere guerra contro la Grecia.
Il governo di Atene, tuttavia, fino all'inizio delle provocazioni del 1940 non era affatto ostile all'Italia. Il Primo Ministro Ioannis Metaxas, pur non definendosi esplicitamente fascista, guidava dal 1936 un regime che era molto simile a quello di Mussolini, cui mostrava di ispirarsi attraverso, ad esempio, l'istituzione del saluto romano. Metaxas temeva molto di più uno scontro militare con la Bulgaria, tanto che aveva realizzato un sistema di fortificazioni al confine noto come "Linea Metaxas", a causa delle tradizionali rivendicazioni bulgare sulla Tracia e su Salonicco, mentre intratteneva rapporti di vicinanza con l'Italia-
Rapporti molto più che cordiali che avevano iniziato a incrinarsi nel 1939 con l'occupazione italiana dell'Albania e che come abbiamo visto nel 1940 avevano iniziato a peggiorare progressivamente.
Le direzioni dell'invasione della Grecia nei piani militari italiani del 1940
Decisa l'azione contro la Grecia, Mussolini convocò i vertici dell'esercito (senza chiamare in causa esponenti di marina e aeronautica, a prova di una confusione e un'emotività di fondo nell'azione bellica) e ordinò di muovere guerra entro fine ottobre con un'azione che rappresentava la combinazione dei piani di invasione presi in considerazione negli anni: Mussolini volle quindi da un lato una penetrazione nell'Epiro fino allo strategico porto di Preveza e contestuale occupazione delle Isole Ionie e, dall'altro lato, una pressione su Salonicco partendo dalla città albanese di Corizza. In un momento successivo, le truppe avrebbero dovuto muovere sulla Grecia peninsulare e su Atene.
Come pretesto, Mussolini chiese di creare un incidente alla frontiera ad hoc che consentisse di mettere in campo l'azione bellica entro la fine di Ottobre. Fu così che in seguito ad alcuni di questi incidenti, l'ambasciatore italiano ad Atene Emanuele Grazzi fu inviato presso Metaxas il 28 Ottobre (peraltro anniversario della Marcia su Roma) per consegnargli un ultimatum, scritto in tutto e per tutto in modo tale da risultare tecnicamente irricevibile per la Grecia. Tale ultimatum chiedeva di permettere all'Italia di occupare non meglio identificati punti strategici greci che avrebbero permesso di combattere contro il Regno Unito, minacciando altrimenti azioni belliche. Ai tentativi dell'ambasciatore di convincere Metaxas a evitare un conflitto venendo incontro alle richieste italiane, il Primo Ministro rispose chiarendo che tale ultimatum era irricevibile, dal momento che nelle tre ore concesse per accogliere le richieste non avrebbe nemmeno avuto il tempo di impartire l'ordine alle truppe, oltre al fatto che i luoghi strategici da occupare non erano specificati. Nello storico colloquio tra i due, tenuto in francese, la lingua diplomatica del tempo, Metaxas disse "Allora è la guerra". "Non necessariamente, Eccellenza", rispose Grazzi, ma Metaxas replicò "No, è necessaria". Quest'ultimo no, Ochi in greco, entrò nella storia ellenica come O Megalo Ochi, il grande no.
Un cartone animato preso dal video dei Sabaton "Coat of Arms" mostra Metaxas stracciare l'ultimatum italiano
Il conflitto, che l'Italia pensava di vincere agevolmente, si trasormò rapidamente in un disastro: il Paese veniva da numerosi conflitti negli ultimi anni, e aveva organizzato la campagna di Grecia con grande rapidità, senza nemmeno mettere a punto strategie particolarmente articolate. Atene, ad esempio, temeva soprattutto attacchi anfibi sul Peloponneso che l'Italia nemmeno prese in considerazione. Ma oltre a questo, si trattò di un conflitto che l'Italia mosse contro un Paese storicamente affine e amico nel corso dei millenni, ma come sappiamo la guerra troppe volte mette contro senza alcun senso amici e fratelli gli uni contro gli altri.
La Grecia riuscì a respingere il tentativo di penetrazione italiano nell'Epiro, lanciando una controffensiva che portò a occupare il sud dell'Albania e nel 1941 costrinse l'Italia a chiedere aiuto alla Germania. Metaxas morì nel 1941 di setticemia, poco prima che i tedeschi invadessero la Grecia, spartendosela poi con Italia e Bulgaria.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Grecia ha iniziato a celebrare il 28 Ottobre come festa nazionale, con il nome di Festa dell'Ochi. L'eco del grande no pronunciato da Metaxas fa sì che oggi la memoria dell'ex dittatore sia qualcosa di controverso e insolito: da un lato è ricordato infatti come un dittatore che ha messo in piedi un regime dai tratti feroci, ma al tempo stesso è elogiato ancora oggi il suo no all'ultimatum italiano, celebrato come festa nazionale.
Le vicende del giorno dell'Ochi e della fallimentare campagna italiana in Grecia sono narrate anche nella canzone "Coat of Arms" del gruppo metal svedese Sabaton.
La pole dance è un misto tra danze e ginnastica divenuto molto popolare e praticato negli ultimi anni. Essa si svolge attraverso l'uso di un palo intorno al quale chi esegue la pole dance deve svolgere figure acrobatiche attraverso la forza delle braccia.
La pole dance nasce negli Stati Uniti negli anni '20, forse influenzata dai circensi cinesi, ed è spesso confusa con la lap dance, la quale ha tuttavia in comune principalmente l'uso del palo ma è una forma esclusivamente d'intrattenimento. La pole dance, come abbiamo visto, richiede un notevole sforzo fisico ed è una forma di ginnastica e sport a tutti gli effetti.
Negli ultimi anni la pole dance ha avuto notevole diffusione in Italia e molte palestre e centri sportivi hanno iniziato a praticarla. E' praticata in grande maggioranza da donne ma non è una disciplina esclusivamente femminile.
A seguire un elenco delle palestre e dei centri che offrono corsi di pole dance usando, come da nostra abitudine, le suddivisioni toponomastiche come criterio d'ordine. Da notare bene: questo non è un articolo promozionale ma meramente informativo. Chiunque desideri segnalare altri centri che offrono corsi di pole dance può tranquillamente scriverlo nei commenti o contattarci alla nostra pagina Facebook, e provvederemo ad aggiornare l'elenco.
Quartiere Nomentano:
- A.R.E.M., Via Ignazio Giorgi 52
- L'Art de la Danse - Scuola di Danza, Ballo e Fitness, Via Pisa 17
Quartiere Prenestino-Labicano:
- Rome Pole Dance Studio 2, Via Pietro Sensini 30
Quartiere Appio-Latino:
- CMA Pole Dance Studio, Via della Caffarelletta 35
- Vertical Dolls Studio, Via Ferdinando Ughelli 16
Quartiere Ostiense:
- Pole Heart, Via Giovanni Ansaldo 3l
- Rome Pole Dance Studio, Viale Leonardo da Vinci 301
Quartiere Portuense:
- Pole Dance Studio Roma, Piazzale della Radio 1/3
Quartiere Aurelio:
- Phoenix Aerial and Dance Studio, Via Baldo degli Ubaldi 31
- Pole Revolution Roma, Via Angelo Di Pietro 19
Quartiere Monte Sacro:
- Bounce Factory Dance Studio, Viale Tirreno 292
- VDA Pole Dance Roma, Via Valsola 45
Quartiere Trieste:
- ASD You Can Dance, Via Gadames 3
- Rome Pole Fitness, Via Tripolitania 199
Quartiere Prenestino-Centocelle:
- Dancing Queen's School_Pole Dance_Calisthenics Dance, Via degli Anemoni 10
Quartiere Don Bosco:
- Pole Dance Company, Via Messala Corvino 17
- UpsideDown Pole Dance, Via Quinto Pedio 31
Quartiere Giuliano-Dalmata:
- Pole Dance Studio 5, Via Gian Francesco Biondi 9
La mappa in questione mostra la città di Anversa, in Belgio, come si presentava nel 1902. La mappa è divisa in due parti: a sinistra mostra anche i dintorni, mentre a destra si focalizza sull'area centrale della città.
Il Palo della morte è un luogo di Roma divenuto celebre perché menzionato da Carlo Verdone nel suo celebre film "Un sacco bello" risalente al 1980.
In questo film, il personaggio di Enzo, interpretato dallo stesso Verdone, dà appuntamento all'amico Sergio, Renato Scarpa, al Palo della morte, un punto di riferimento dove vedersi per poi partire per Cracovia per il Ferragosto. Un appuntamento annunciato dalla celebre frase "A mezzogiorno, al palo della morte!".
Il palo, un traliccio dell'alta tensione particolarmente grande, oggi non esiste più. Si trovava in Via Giovanni Conti, al confine tra le Zone Val Melaina e Castel Giubileo, un'area che come si può vedere dalle immagini del film era ancora in gran parte in fase di realizzazione quando venne girato "Un sacco bello".
Il 24 luglio 2020, sul luogo dove in passato sorgeva il "Palo della morte", è stata posta una targa alla presenza di Carlo Verdone, per i quarant'anni del film. Ancora oggi capita che fan del film e curiosi si riuniscano in questo luogo in occasione del Ferragosto.
Nonostante questa struttura non più esistente sia entrata a tutti gli effetti nell'immaginario collettivo grazie a Carlo Verdone e al suo film Un sacco bello, non si tratta dell'unico film in cui compare. Il celebre traliccio, infatti, si nota anche in una scena del film di Ettore Scola Brutti, sporchi e cattivi. Un fatto che rende ancora più singolare tale struttura.
La mappa in questione mostra la città di Las Vegas, nello stato americano del Nevada, come si presentava nel 1951, negli anni in cui la città, celebre per i suoi casinò, stava assistendo a un notevole sviluppo.
Gli edifici oggi demoliti dove sorgeva il carcere di Tor di Nona
Nel XVI Secolo era comunemente in vigore il divieto di uscire di casa nelle ore notturne per prevenire problemi di ordine pubblico o di sicurezza e per evitare che in assenza di luce solare potessero scaturire incendi per via del fuoco usato per illuminare. Alla fine di tale secolo a Roma erano particolarmente diffusi alcuni problemi di ordine pubblico, in parte a causa della diffusa povertà che aveva favorito il vagabondaggio e la criminalità e dei numerosi soldati allo sbando che giravano per la penisola, tutto causato da quasi un secolo di guerre combattute in Italia.
A questo riguardo abbiamo dal Codice Urbinate 1055 (Biblioteca Vaticana) un'interessante testimonianza di cosa poteva accadere in caso una persona venisse trovata in giro durante le ore proibite, testimonianza che risale al 23 Maggio 1587, quando il boia del carcere di Tor di Nona punì alcune donne che erano state trovate in giro per Roma alle ore proibite. Il carcere in questione oggi non è più esistente, la stessa struttura è stata demolita per la realizzazione degli argini del Tevere e dei Lungotevere, e sorgeva in Via di Tor di Nona, nel Rione Ponte.
Punizione di una cortigiana con la sferza nel carcere di Tor di Nona (incisione del XVI Secolo)
Il testo recita così: "Il boia l'altra mattina nel cortile di Tordinona frustò tre donne a camicie alzate dinanzi et di dietro, con un mazzo d'urtiche, perché la sera innanzi erano state trovate fuori à spasso per la città all'hore prohibite loro di uscire di casa, et un'altra donna, pur trovata in quel tempo fuori del vicinato à repigliarsi una padella da un'amica, con quella istessa padella in prigione li fu date su 'l culo alquante botte".
Porta Latina è una porta delle Mura Aureliane di Roma, al confine tra il Rione Celio e il Quartiere Appio Latino, tra Via di Porta Latina, la Via Latina, Viale Metronio e Via delle Mura Latine.
La Via Latina collegava anticamente Roma a Capua, città in cui si congiungeva con la Via Appia, e partiva da Porta Capena, nelle Mura Serviane. Con la realizzazione delle Mura Aureliane fu realizzata Porta Latina, da cui partiva tale strada che da il nome anche alla porta.
Come molte porte delle Mura Aureliane, anche questa rispetto alla sua edificazione avvenuta tra il 270 e il 275 dopo Cristo ha subito numerose modifiche, come si può notare facilmente dalla mancanza delle grandi aperture tipiche delle fortificazioni dell'epoca di Aureliano che consentivano di lasciare spazio alle baliste e che spesso, come in questo caso, sono state restaurate nei secoli successivi e sostituite con piccole feritoie.
Le mura furono restaurate numerose volte, la prima da parte dell'Imperatore Onorio su richiesta del generale Stilicone, che le fece alzare di 6-8 metri. Proprio a questo restauro risale la copertura in travertino ben visibile e caratteristica di questa porta.
La facciata posteriore della porta
Come per molte porte d'accesso a Roma, tra il V e il XV Secolo anche questa fu, almeno per alcuni periodi, data in gestione a privati che si occupavano così della riscossione del pedaggio. Questo sistema gestito dal Governatorato, nel tempo, entrò in conflitto col Papato che prese il controllo di tutte le porte: sappiamo infatti da una Bolla di Papa Onorio III (1216-1227) che nel 1217 i proventi del pedaggio di Porta Latina erano dati alla vicina Chiesa di San Tommaso in Formis.
Nel 1408, quando il Re Ladislao di Napoli occupò Roma, la porta venne chiusa, per poi essere riaperta dopo pochi mesi.
Porta Latina in un'incisione di Luigi Rossini
Nel 1467 fu stilato un bando per cedere le diverse porte all'asta in gestione a privati per un anno, e sappiamo che nel 1474 il prezzo per la gestione di Porta Latina e della vicina Porta Asinaria insieme era di 39 fiorini, 31 solidi e 4 denari ogni sei mesi, un prezzo non particolarmente alto che testimonia un transito non particolarmente elevato in quest'area. Negli anni successivi, tuttavia, l'importanza dovrebbe essere aumentata dal momento che nel 1532 il prezzo risultava essere cresciuto.
Nel 1576 Roma venne colpita da una pestilenza, e per questa ragione Porta Latina venne chiusa provvisoriamente. Lo stesso fatto si ripetè nel 1656, quando una grave pestilenze si abbattè su tutta Italia: in tale occasione, per ragioni principalmente burocratiche, la porta rimase chiusa per ben 13 anni! A risolvere le lungaggini fu il Cardinale Giulio Gabrielli, che fece riaprire la porta, celebrando il fatto con una solenne cerimonia il 5 Maggio 1669.
A partire dal XVI, tuttavia, la Via Latina perse gradualmente importanza in favore della vicina Via Appia Nuova, aperta per volontà di Papa Gregorio XIII Boncompagni (1572-1585) nel 1574. Questo portò a una graduale perdita di importanza anche per Porta Latina, che culminò nel XIX Secolo, quando rimase chiusa a partire dal 1808 fino al 1911 (tranne per alcuni mesi del 1827).
Alcuni studiosi medievali ritenevano che la porta avesse il nome di Latina dal termine latino "latens" per via di un'antica leggenda che voleva che qui si fosse nascosto Saturno in fuga dal figlio Giove che lo aveva detronizzato. Tali leggende risalivano in genere ai tempi arcaici di Roma, tempi in cui tale porta non esisteva e lascia intendere si tratti di una storia nata nel Medioevo senza alcun fondamento.
Villa Page, detta anche Villa Lituania, è una villa situata in Via Nomentana n. 116, nel Quartiere Nomentano, oggi ospita l'Ufficio Consolare dell'Ambasciata di Russia.
La villa fu costruita dal commendatore George Blunt Page, direttore della Banca Commerciale Italiana, nel 1910 su terreni acquistati di Villa Mirafiori, ad opera degli architetti Pio e Marcello Piacentini.
Il parco era costituito da alcune piante superstiti di Villa Mirafiori, e si estendeva per 9.000 metri quadrati.
George Page morì nel 1930, la moglie Maria Luisa vi abitò fino al 1933, quando la villa venne affittata all'Ambasciata di Lituania.
Nel 1937 la Lituania comprò l'edificio per 3 milioni di lire. Dopo l'occupazione della Lituania da parte dell'Unione Sovietica, nel 1940, i Sovietici requisirono l'edificio, che fu trasferito ufficialmente dallo Stato Italiano all'Unione Sovietica solamente nel 1945.
La villa è costituita da un corpo centrale aggettante, che si sviluppa su tre piani, e da un corpo principale di due piani, con terrazza a balaustra.
L'avancorpo centrale, di grande effetto scenografico, è caratterizzato da un portico su colonne doriche, sopra al quale si trova una terrazza. Il piano nobile ha tre finestre quadrangolari, sovrastate da un maestoso stemma avvolto in un cartiglio. Nell'attico invece è presente un'ampia loggia, con colonne corinzie.
Particolare dell'ingresso
Sul cornicione si trova una balaustra e un tetto in coppi alla romana sormontato da una statua, oggi non più presente, di San Giorgio che uccide il drago. L'edificio è decorato da bugne angolari, mentre le finestre del piano terra sono architravate su mensole e con timpano mistilineo.
Gli interni erano particolarmente sfarzosi, di gusto barocco.
I colori originari erano chiari mentre le tonalità odierne sono scorrette.
La Casa Pisani è un edificio situato in Via Cavour n. 108, ad angolo con Via di Santa Maria Maggiore e via dei Quattro Cantoni, nel Rione Monti.
Il palazzo fu costruito nel 1888 dall'architetto Camillo Pistrucci, lo stesso che progettò Palazzo Massimo alle Terme, nel 1886.
Palazzo Giorgioli e Casa Pisani si fronteggiano in Via di Santa Maria Maggiore
L'edificio si trova in un importante crocevia posto tra Via Cavour e Via di Santa Maria Maggiore, in piena espansione in quegli anni, di fronte infatti confina con l'isolato di Palazzo Giorgioli e Palazzo Besi.
L'edificio si sviluppa su quattro piani, col mezzanino sopra al piano stradale, le facciate sono occupate da tre finestre per piano.
La facciata principale su Via Cavour
Un bugnato rustico ricopre il piano terra e il mezzanino inframezzati da una cornice, poi si sviluppa sul resto dell'edificio a livello angolare.
Il mezzanino è occupato da grandi finestre ad arco inquadrate da lesene modanate e rastremate, con balconata in ferro battuto, il portale e inquadrato da due colonne con capitello corinzio stilizzato, che sostengono un balcone al mezzanino.
Particolare della finestra ad arcata del mezzanino
Al piano nobile si trova un grande balcone su mensoloni con balaustra in ferro, in asse con il portone di ingresso. Le finestre del piano nobile sono architravate su mensole, quelle del secondo piano sono incorniciate. Il cornicione è decorato da da ovoli, modiglioni e lacunari di forma romboidale.
Prospetto di Casa Pisani da una pubblicazione del 1890
L'Hotel Plaza, oggi Grand Hotel Plaza, è un hotel di lusso che si trova in Via del Corso n. 126, ad angolo con Via delle Carrozze, nel Rione Campo Marzio.
La sua storia comincia nel 1837 quando il palazzo del Conte Lozzano fu quì costruito dall'architetto Antonio Sarti.
La facciata era decorata in stile rinascimentale con un bugnato liscio al piano terra, occupato da grandi arcate a tutto sesto, finestre architravate al primo e al secondo piano, mentre erano dotate di una semplice cornice modanata al terzo piano.
Il 1862 i nuovi proprietari Neiner e Bussoni fecero ristrutturare l'edìficio per trasformarlo in albergo chiamato Albergo di Roma.
Nel 1871 i Principi di Piemonte Umberto e Margherita assistettero dal balcone centrale dell'albergo al primo carnevale di Roma Italiana.
Il 1902 l'albergo fu comprato dalla famiglia di albergatori Sanremesi Bertolini che attuarono una ristrutturazione del complesso. L'architetto Edgardo Negri modificò la facciata impreziosendola con lesene corinzie, triplicando l'ingresso, sormontato da una balconata a balaustra, e decorando gli architravi del primo piano con timpani triangolari e curvilinei alternati.
Il nuovo albergo venne inaugurato nel 1903 come Bertolini's Splendid Hotel.
Il 1907 fu rinominato Hotel Plaza Albergo Splendido. Nel 1913 vi morì il miliardario americano J. P. Morgan.
Il 1930 l'albergo fu ristrutturato e venne soprelevato di due piani, creando varie terrazze con balaustre e un corpo centrale decorato da colonne corinzie e balconi.
Anche gli interni furono restaurati realizzando i grandi saloni di rappresentanza, ancora oggi esistenti, in questa veste venne inaugurato come Hotel Plaza.
L'elegante Lobby con lo scalone d'ingresso
L'architetto Armando Brasini progettò gli ambienti dell'ingresso, del maestoso Giardino d'Inverno, dei bar e del Ristorante. Lo stile adottato era quello dell'antica Roma, con lesene alle pareti e colonne in marmo.
Il bar Americano, progettato da Brasini, oggi perduto
Gli interni sono rivestiti in marmi pregiati e decorati da lesene, i soffitti sono a cassettoni o a volte dipinte ad affresco.
Il grande Salone d'Inverno
Il grande Giardino d'Inverno, realizzato nel cortile del palazzo, è caratterizzato da un'ampia volta a lunette, con cornici mistilinee in stucco, che delimitano riquadri di varie forme affrescati, su cui è posto un grande lucernario con vetrate liberty.
La trabeazione è sorretta da eleganti colonne corinzie binate in marmo, alternate a pilastri e lesene.
Anche il Ristorante è decorato da lesene poste fra arcate, mentre il soffitto è affrescato a cassettoni e a grandi scene classiche.
Il Salone del Ristorante oggi intitolato a Mascagni
Nell'Hotel, tra i vari personaggi famosi, vi risiedette dal 1927 il compositore Pietro Mascagni, che occupava la suite n. 114 al primo piano.
Sulla facciata dell'albergo un busto e una targa ricordano il soggiorno del maestro fino alla morte, nel 1945.