Il Villino Rudinì si trova in Via Quintino Sella n. 60 nel Rione Sallustiano, ed è il secondo costruito a Roma, il primo è situato al Castro Pretorio.
L'edificio fu costruito per volere di Antonio Starabba, Marchese di Rudinì, come propria residenza in cui ritirarsi dopo aver vissuto un'intensa carriera politica, che l'aveva portato ad essere due volte Primo Ministro alla fine dell'Ottocento.
Il progetto fu affidato nel 1904 all'architetto Palermitano Ernesto Basile, autore del Villino Florio, ormai affermato nella capitale. Il Basile realizzò un edificio in forme rinascimentali, con alcuni elementi Liberty.
Il villino si sviluppa su tre piani con cinque finestre sulla facciata principale, le finestre sono architravate ed hanno elementi floreali posti sotto l'architrave, l'edificio è decorato da un bugnato angolare, mentre il pianterreno è rivestito a bugnato rustico. L'entrata è preceduta da un portico d'ingresso a tre arcate inquadrate da semicolonne e paraste corinzie, sopra il quale è posta una terrazza con parapetto decorato da altorilievi floreali. Sulla terrazza si aprono tre ampie arcate inquadrate da semicolonne corinzie, che sostengono i parapetti della balconata floreale del secondo piano.
Tra il primo e il secondo piano è presente un bel fregio a motivi floreali, così come nella trabeazione del cornicione di coronamento, dove gli elementi Liberty sono molto più marcati.
Le facciate laterali riprendono lo schema compositivo della facciata principale, posteriormente si trova una grande terrazza posta su un avancorpo quadrangolare decorato da lesene corinzie.
Gli interni erano particolarmente grandiosi, ed erano occupati da un monumentale salone centrale, che si estendeva lungo i tre piani, sul quale si aprivano le sale della casa, illuminato da un lucernario, e decorato da elementi Liberty. Purtroppo sembra che le decorazioni siano state irrimediabilmente perdute.
Il villino venne completato nel 1906 e il marchese di Rudinì potè abitarvi per soli due anni poiché la morte lo colse il 7 agosto 1908.
In seguito appartenne agli eredi finché negli anni Cinquanta non fu venduto al Giappone che vi installò la propria ambasciata presso l'Italia.
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