Il villino Cavazzi della Somaglia era un villino oggi non più esistente, che occupava l'intero isolato posto tra Piazza dell'Indipendenza, Via Curtatone, Via Goito e Via Gaeta, nel Rione Castro Pretorio, per le dimensioni e la magnificenza era il più bel villino del Quartiere Macao, dopo la Villa Telfener.
Il villino della Somaglia visto da Piazza delle Terme nel 1875
L'edificio fu costruito nel 1872 come investimento per l'Onorevole Giacomo Servadio, presidente della Società Generale di Credito Immobiliare e Costruzioni, cui era stata affidata la lottizzazione del nuovo Quartiere Macao.
Il progetto dell'ingegner Faustino Anderloni prevedeva un grande edificio di due piani con forma quadrangolare, contenente due cortili centrali al suo interno.
Parata militare in Piazza dell'Indipendenza, sul portico del villino della Somaglia era stata posta una tenda per riparare gli ospiti dal sole
Un grande portico d'ingresso a tre arcate su lesene doriche, posto sulla sommità di una scalinata, movimentava la facciata principale su Piazza dell'Indipendenza, al n. 3.
Sul portico si affacciava l'ampia balconata d'onore, cui si poteva accedere dalle tre grandi arcate del piano nobile decorate con lesene corinzie. Il cornicione era occupato a festoni e riquadri, si aprivano delle piccole finestre di mezzanino. Le grandi finestre del piano nobile erano architravate con timpani curvi. Posteriormente si sviluppava il giardino, con le scuderie poste lungo Via Gaeta.
Antonio Beretta
La villa fu affittata nel 1873 dal Senatore e Conte Antonio Beretta, ex sindaco di Milano, nel 1877 passò dagli eredi Servadio alla Banca Tiberina, erede dei patrimoni della Società Generale di Credito Immobiliare, che lo affittò come sede dell'Ambasciata dell'Impero Ottomano, fino al 1880.
Gian Luca Cavazzi della Somaglia
In quell'anno fu venduto all'Onorevole Conte e Barone Gian Luca Cavazzi della Somaglia, cha provvide ad effettuare dei restauri interni nel 1892.
Il Conte, di famiglia lombarda, era sposato con la Principessa Guendalina Doria Pamphilij Landi, Dama di palazzo della Regina Margherita. Egli fu vicepresidente della Croce Rossa Italiana e presidente dal 1886 al 1896, nel 1889 fu nominato Senatore del Regno.
Alla sua morte nel 1896 il villino fu abitato dai figli Gianluca e Gian Giacomo, Senatore del Regno e presidente della Croce Rossa dal 1913 al 1918, anno della morte.
Successivamente denominata come Villa Somaglia diventò sede dell'Ambasciata del Sud Africa negli anni Trenta, e del Cile fino al 1952, quando fu demolito per costruire il grande palazzo della Federconsorzi.
Palazzo Servadio eta un palazzo posto in Piazza dell'Indipendenza fra le Vie dei Mille e Magenta, nel Rione Castro Pretorio, di cui oggi sopravvive solamente una parte. Fu uno dei primi edifici a sorgere nella Piazza nel 1872.
Giacomo Servadio
L'edificio fu progettato per il banchiere fiorentino e Onorevole Giacomo Servadio, presidente della Società Generale di Credito Immobiliare e Costruzioni, che aveva il compito di costruire il nuovo Quartiere Macao, da Enrico Kleffler nel 1872. L'architetto aveva già progettato per Servadio due villini a Firenze, nel 1866, quando la città era Capitale del Regno.
L'Onorevole si fece costruire come investimento contemporaneamente un fabbricato e una villa in Piazza dell'Indipendenza, posti l'uno di fronte all'altro.
Il vasto edificio occupava tutto l'isolato lungo la piazza e conteneva appartamenti d'affitto di rappresentanza.
La facciata si sviluppava su tre piani con 15 finestre per piano. Il pianterreno era ricoperto a bugnato, i due piani superiori erano occupati da quattro grandi lesene corinzie alternate a tratti ad intonaco liscio.
Palazzo Servadio nella parata per le nozze di Vittorio Emanuele nel 1896
L'edificio fu sede di diversi alberghi, e fu barbaramente demolito alle due estremità negli anni Sessanta, oggi ne rimane solo la porzione centrale incastonata tra due grandi palazzi moderni.
Il villino Monteverde si trova in Piazza dell'Indipenza n. 9, adiacente al villino Centurini, nel Rione Castro Pretorio.
Fu costruito nel 1875 per lo scultore piemontese Giulio Monteverde, residente a Roma dal 1865, consigliere comunale nel 1880 e Senatore del Regno dal 1889.
Il progetto della casa studio fu curato dall'ingegner Faustino Anderloni, direttore tecnico della Banca Italo Germanica che stava realizzando il nuovo Quartiere Macao. Il villino nel progetto primitivo avrebbe avuto nella facciata sulla piazza tre arcate circolari al pianterreno e tre finestre ad edicola con timpano al primo piano, sopra la finestra centrale su un piedistallo sarebbe stata posta una copia della famosa statua del genio di Franklin, esposta a Milano nel 1872 e comprata dal Museo del Cairo.
Il genio di Franklin, copia in gesso conservata a Nervi
Il villino fu realizzato nel 1876 con l'introduzione di una serliana su colonnine ioniche al posto della finestra centrale, su cui si apre il balcone a balaustra, e di due finestre di mezzanino al primo piano.
Lo scultore si trasferì nel villino nel 1884, facendo collocare la statua del genio di Franklin, raffigurante un fanciullo alato che si avvolge ad un parafulmine posto su un comignolo, sul tetto.
La facciata su Via dei Mille ha cinque finestre per ogni piano, sul giardino retrostante si apre una grande terrazza con balaustra aggiunta successivamente.
Il villino fu acquistanto nel 1920 da Giorgio Luzzatto, ed è stato sopraelevato, nel 1928, di un piano sopra il cornicione, cosicchè la statua non è più posta in risalto come in origine, ma è compresa nella nuova balaustra.
Il colore originale era chiaro, con le bugnature color travertino.
Lungo le Mura Aureliane, in Piazza Fiume, nel Quartiere Salario, a pochi metri da dove sorgeva una volta Porta Salaria, si può vedere una strana sovrastruttura. Si tratta di una latrina addossata alle mura nella quale i soldati di guardia facevano i propri bisogni, ed è l'unica struttura del genere ancora oggi sopravvissuta: possiamo facilmente immaginare che ve ne fossero molte altre.
L'edificio fu costruito nel 1874 per Alessandro Centurini, imprenditore genovese, azionista della Società Pia Antica Marcia e Presidente dal 1891 al 1915, Senatore del Regno dal 1909, dall'architetto svizzero Enrico Kleffler. Il progetto di Kleffler fu presentato nel 1873.
Si tratta dunque di uno dei primi villini costruiti a Roma dopo l'unità d'Italia, nel Quartiere Macao.
L'edificio è a tre piani, lo stile utilizzato è quello del rinascimento fiorentino.
Un bugnato color pietra serena occupa completamente il piano terra, in cui si trovano quattro finestre ad arco e, al centro, il portone d'ingresso. Il piano nobile è occupato alle estremità da finestre con timpano, mentre al centro si trova un ampio loggiato con tre arcate, inquadrato da lesene corinzie scanalate, una balconata si estende su tutta la lunghezza della loggia.
L'ultimo piano è occupato da piccole finestre quadrangolari, accompagnate da lesene nel tratto sopra il loggiato.
Il lato dell'edificio lungo Via Bachelet è occupato da cinque finestre per ogni piano, il prospetto riprende quello della facciata sulla piazza.
Posteriormente si trovava il giardino che arrivava fino a Via Vicenza, dove si trovava il piccolo edificio d'abitazione dei domestici.
All'interno si apre l'atrio centrale che conduce allo scalone d'ingresso.
Al pianterreno sono presenti due saloni affrescati con raffigurazioni di stampo mitologico.
Nel 1914 il villino fu lasciato in eredità ai nipoti Ignazio e Alessandro Centurini, che la vendettero nel 1933 al Governatorato.
Fu deciso subito di impiantarvi il Liceo Giulio Cesare, poi trasferito a Corso Trieste, e dal 1937 l'Istituto Magistrale Alfredo Oriani. Nel 1935 fu realizzata una nuova ala lungo Via Varese e Via Vicenza.
Oggi gli ambienti interni sono perfettamente conservati ed occupano le sale di rappresentanza della scuola Nicolò Machiavelli.
Su un muro di Porta San Sebastiano, al confine tra i Rioni Celio e San Saba e i Quartieri Appio-Latino e Ardeatino, è presente quella che possiamo definire un'antica targa commemorativa.
Sulla parete si nota infatti la figura dell'Arcangelo Michele mentre uccide un drago e, accanto, un'iscrizione in caratteri gotici. In tale iscrizione, scritta in latino medievale, si ricorda la battaglia combattuta il 29 Settembre 1327, giorno in cui si celebra San Michele, tra i ghibellini romani guidati dai Colonna e da Giacomo de' Pontani, o Giacomo Ponziano, e l'esercito guelfo del Re di Napoli Roberto d'Angiò, guidato da Giovanni e Gaetano Orsini.
A seguire un elenco delle Edicole Sacre situate nello Stato della Città del Vaticano, elencate in base all'ordine alfabetico della strada in cui si trovano.
Villa Tuccimei era una villa situata in Via Tagliamento ad angolo con Via Arno, nel Quartiere Trieste, oggi non più esistente.
Fu progettata dall'ingegnere Paolo Tuccimei come residenza per sé e per sua moglie Katherine Taylor Smoot Tuccimei nel 1909.
La villa era a tre piani ed aveva il tetto a spioventi con tetto in tegole alla marsigliese, le pareti erano in cortina laterizia, nell'insieme mostrava l'interesse di Tuccimei per l'architettura anglosassone.
La villa aveva tre bow window su tre lati, le finestre erano decorate con semplici modanature. L'ultimo piano era occupato da una trabeazione decorata con festoni in cui erano poste le finestre, superiormente terminava con mensole e dentelli.
Villa Tuccimei in una pianta del 1911, Via Tagliamento era ancora un prolungamento di Via Po
I cancelli della villa si trovavano su Via Tagliamento, dal primo si arrivava all'ingresso principale, posto lungo Via Arno, dal secondo si accedeva all'ingresso secondario. L'entrata principale era preceduta da una scalinata su cui si poggiava un lungo portico, dotato di quattro colonne doriche, sormontato da una balconata a balaustri.
Il villino fu barbaramente demolito negli anni cinquanta per costruire una palazzina di cinque piani, dove ha sede il Piper Club.
La Città Universitaria della Sapienza, i cui lavori vennero diretti dall'architetto Marcello Piacentini, venne inaugurata nel 1935. L'idea di raggruppare tutti gli edifici in un'unica area, un'unica "città nella città" che fungesse da polo principale di un determinato settore secondo un preciso modello di sviluppo urbanistico della Roma di quegli anni, che parallelamente stava realizzando, tra le altre, la "Città del Cinema", ovvero gli studi di Cinecittà, la Città dell'Esposizione, ovvero l'EUR, e una "Città dello Sport", ovvero quello che prese il nome di Foro Mussolini e oggi si chiama Foro Italico.
La città universitaria, in questo senso, fu un'iniziativa che aveva l'obiettivo di unificare in un'unica, moderna e funzionale sede le numerose facoltà della Sapienza sparse in giro per Roma.
Già nel 1871, all'indomani dell'annessione di Roma al Regno d'Italia, era stata posta la questione della realizzazione di un nuovo polo universitario, con il vecchio edificio della Sapienza, quello di Sant'Ivo, insufficiente ad ospitare l'ateneo, tanto più dopo il necessario aumento di attività successivo all'Unità d'Italia. I piani regolatori ottocenteschi, tuttavia, non presero in considerazione tale necessità, e nemmeno la realizzazione nel 1881 del Policlinico Umberto I portò alla realizzazione di un polo universitario unitario, e le facoltà si insediarono quindi in edifici sparsi per la città, portando a un'istituzione universitaria "dispersa e disgregata", come denunciò il politico e accademico Ruggiero Bonghi. Solo nel 1909 il piano regolatore di Edmondo Sanjust di Teulada portò a individuare, di fianco al Policlinico, l'area per un polo universitario, immaginando dunque un grande quartiere che fungesse da polo scientifico per Roma composto da Policlinico e università.
Tale piano, tuttavia, vide la propria attuazione solamente durante il fascismo, negli anni '30, in un momento di forte espansione urbanistica strutturata per poli ben specifici.
Quando nel 1935 la Città Universitaria venne inaugurata gli iscritti erano 12mila, e le nuove strutture erano pensate per ospitare ben 30mila studenti all'interno della sua cinta muraria e, dunque, di un perimetro chiaro e ben definito, in un contesto architettonico che aveva ottenuto importanti apprezzamenti dalle principali riviste di settore dell'epoca. Può sembrare molto strano quindi immaginare che già in quegli anni furono realizzati alcuni progetti per ampliare la città universitaria fuori dal suo perimetro.
Progetto della Città Universitaria
L'ASPIU (Archivio Storico del Patrimonio Universitario) ospita numerose testimonianze di progetti risalenti già agli anni '30 di possibili ampliamenti della Città Universitaria nelle sue immediate vicinanze, per i quali tuttavia non trova piena percorribilità anche a causa dei proprietari dei terreni, tutti controllati da altri rami dello stato: c'è infatti l'area del Ministero dell'Aeronautica e della Guerra, c'è l'Istituto Superiore di Sanità, sotto il quale è presente una rete di catacombe, c'è il Genio Civile e ci sono locali usati dal Ministero dei Lavori Pubblici. Tutti enti, tuttavia, che nel momento di espansione urbanistica del momento sperano di poter usare quei terreni di loro proprietà per realizzare essi stessi nuove strutture, con la sola eccezione del Genio Civile.
Alcune facoltà, infatti, per ragioni diverse, non avevano ancora un proprio edificio all'interno della Città Universitaria, e la realizzazione di nuove strutture fu un tema anche per questa ragione. Tra queste vi era la Facoltà di Ingegneria, la cui sede dal 1817 era presso San Pietro in Vincoli: per essa si pensò di realizzare un nuovo progetto molto ampio per una sola facoltà, che ricalcava il modello della Città Universitaria entro il perimetro delle mura del Castro Pretorio. Dal progetto, si immaginava di prolungare la Via San Martino della Battaglia e farne uno dei quattro lati della nuova "cittadella" insieme alle mura del Castro Pretorio e al Viale del Castro Pretorio. Dalle mura sarebbe dovuto essere creato anche uno degli accessi a questa sorta di Politecnico lungo Via della Sforzesca, strada istituita proprio nel 1935 che avrebbe dovuto, come anche da piano regolatore, raggiungere la Via del Castro Pretorio da Via Osoppo, portando all'almeno parziale demolizione delle caserme lì presenti. Oggi, invece, la strada è di fatto un brevissimo proseguimento di Via Osoppo, e rappresenta uno dei casi più significativi di toponomastica interrotta.
Alla questione di ingegneria si aggiunge un altro elemento. Nel 1936, infatti, Guglielmo Marconi, all'epoca direttore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che chiese la realizzazione di alcuni laboratori per la ricerca scientifica da realizzare nelle immediate vicinanze della nuova sede del CNR, in costruzione di fronte alla Sapienza, e facendo al riguardo riferimento a una promessa fatta da Benito Mussolini in persona nel 1932. La richiesta sembra godere del sostegno iniziale degli enti interessati, ma in ogni caso si conclude in un nulla di fatto.
A raccontare quale fosse l'idea di ampliamento della Sapienza c'è poi un disegno a volo d'uccello risalente al 1938 che mostra appunto la Città Universitaria e un nuovo polo universitario costruito lungo Viale Ippocrate, cui si aggiungono impianti sportivi lungo la Tiburtina di fronte al Verano. Dal lato di Viale Ippocrate di Via del Castro Laurenziano si nota un grande complesso di facoltà universitarie con, dall'altro lato, un edificio per gli studenti. Un'università, quindi, che ricorda quasi un campus tipico del monto anglosassone e statunitense, inserita però in pieno nel contesto urbano.
A dettagliare ulteriormente questa idea di espansione della Sapienza c'è poi un progetto dell'immediato dopoguerra (come si vede dal nome di Viale Ippocrate, che fino al 1945 aveva il nome di Via Alfredo Rocco) in cui si vede che nella zona di Via del Castro Laurenziano sarebbero dovuti essere realizzati nuovi edifici della facoltà di Medicina e alloggi per studenti italiani e stranieri.
Il disegno a volo d'uccello, inoltre, mostra anche la realizzazione di nuovi edifici all'interno del perimetro della Città Universitaria, riempendo i numerosi vuoti del progetto. Seppur non visibile nel disegno del 1938, esiste anche un progetto di una Casa del Fascio interna alla Sapienza: ogni città e quartiere, all'epoca, aveva una struttura del genere, e il luogo della formazione degli individui e del pensiero, nel programma del regime, non poteva essere da meno. Un disegno del progetto, di cui non è noto l'autore, mostra una semplice Casa del Fascio, dotata di torretta che richiama le torri civiche del Medioevo italiano.
Negli anni immediatamente successivi alla fine del conflitto, in
continuità col progetto originario vennero realizzati, entro i confini
della Città Universitaria, la Chiesa della Divina Sapienza, opera dello
stesso Piacentini, e la facoltà di Farmacia.
Terminato il periodo di completamento del progetto originario, caduto il fascismo, l'idea di un grande polo universitario andò man mano in crisi, preferendo modelli policentrici, con strutture disseminate in numerosi quartieri della città e la nascita di nuovi atenei, pubblici e privati. Tuttavia, un po' per il notevole prestigio storico della Sapienza, un po' per le sue dimensioni che la rendono a tutti gli effetti uno degli enti pubblici più importanti d'Italia, ha contribuito a un'espansione negli anni di questa istituzione e alla realizzazione di nuovi edifici.
In questo senso, la scelta della zona tra Viale Ippocrate e Via del Castro Laurenziano è stata ripresa, realizzandovi la facoltà di Economia e alcune sedi di Ingegneria, così come nuove strutture sono sorte all'interno della Città Universitaria negli spazi rimasti liberi.
La zona del Castro Pretorio, dove era stata immaginata una cittadella di Ingegneria, è invece stata occupata dalla nuova sede della Biblioteca Nazionale.
La targa in questione si trova all'interno della sede del Circolo Canottieri Tevere Remo, in Lungotevere in Augusta, nel Rione Campo Marzio, e ricorda i membri del circolo caduti nella Prima Guerra Mondiale, nella Guerra Civile Spagnola e nella Seconda Guerra Mondiale.
La targa in questione si trova all'interno della sede del Circolo Canottieri Remo, in Lungotevere in Augusta, nel Rione Campo Marzio, e ricorda Guglielmo Grant, primo presidente del circolo in cui la targa si trova, in occasione del centenario della prima regata nazionale vinta nel 1875.
La Chiesa della Panagia Chalkeon, che in italiano significa Nostra Signora dei Calderai, si trova a Salonicco, presso la Platia Dikastirion lungo la Via Egnatia.
Il nome della Chiesa deriva dai numerosi calderai che un tempo avevano le botteghe in questa zona di Salonicco.
Le origini della Chiesa risalgono al 1028, quando venne costruita per volontà del Catapano di Longobardia Cristoforo Burgaris. Il suo ruolo, insieme a quello della moglie Maria e del figlio Niceforo, sono ricordati in un'iscrizione sull'architrave della Chiesa.
La Chiesa si presenta come un edificio con pianta a croce greca con cupola, circondata da una serie di piccoli ambienti. L'esterno invece presenta una muratura a mattoni, una caratteristica tipica del periodo comneno.
Diversi affreschi sono presenti all'interno della Chiesa: nell'abside ne è presente uno di epoca comnena raffigurante la Vergine con due Arcangeli, i quattro Santi Vescovi Gregorio, ovvero il Taumaturgo, di Nissa, di Armenia e di Agrigento e i Santi Anargiroi. Questi ultimi, il cui nome significa "senza argento", erano un gruppo di medici che curavano i poveri rifiutando di ricevere un pagamento, da cui l'attributo. Nella cupola è invece presente un affresco dell'Ascensione di Cristo, mnetre lungo le pareti vi sono una Comunione degli Apostoli e un Giudizio Universale.
Durante l'occupazione ottomana di Salonicco, la Chiesa, come molte altre della città, venne convertita in Moschea, e prese il nome di Kazancilar Kami (Moschea dei Calderai). Quando nel 1912 Salonicco venne liberata e iniziò a far parte del nuovo stato greco, la Panagia Chalkeon tornò ad essere una Chiesa, e le aggiunte ottomane vennero rimosse. Nel 1934 la Chiesa subì un nuovo restauro in seguito al terremoto della Calcidica del 1932.
Il mausoleo di Musa Baba, noto anche come Musa Baba Tourbes o Musa Baba Türbesi, si trova a Salonicco, in piazza Terpsitheas, lungo la strada Pileos, nell'Ano Poli.
Si tratta di un mausoleo nel quale è stato sepolto nel XVI Secolo Musa Baba, un importante religioso musulmano dell'ordine derviscio dei Bektashi, che si trovava al centro di un cortile di una scuola sufi che corrispondeva all'attuale piazza Terpistheas. L'edificio è interessante, in forma ottagonale. E' stato restaurato nel 2011.
Er fattaccio, noto anche come Er fattaccio de Vicolo der Moro, è un monologo drammatico scritto in romanesco dal poeta di origine abruzzese Americo Giuliani nel 1911 e originariamente interpretato dall'attore Alfredo Bambi. Si tratta di un dramma ambientato nel Rione di Trastevere, in Via del Moro (riportata come Vicolo del Moro), che vede protagonisti Nino, il fratello Giggi, divenuto sempre più violento ed avvicinatosi a cattive compagnie, e la madre, vedova, Emma.
A seguire, il monologo recitato da Gigi Proietti e il testo.
Sor delegato mio nun so' un bojaccia!
Fateme scioje... v'aricconto tutto...
Quann'ho finito, poi, m'arilegate:
ma adesso, pe' piacere!... nun me date
st'umiljazione doppo tanto strazio!...
V'aringrazio!!
Quello ch'ha pubblicato er Messaggero
sur fattaccio der vicolo der Moro
sor delegato mio... è tutto vero!!
No p'avantamme, voi ce lo sapete,
so' stato sempre amante der lavoro;
e è giusto, che, pe' questo, me chiedete,
come la mano mia ch'è sempre avvezza
a maneggià la lima còr martello,
co' tanto sangue freddo e sicurezza
abbia spaccato er core a mi' fratello.
Quanno morì mi' padre ero fanello...
annavo ancora a scola e m'aricordo
che, benché morto lui, 'nder canestrello,
la pizza, la ricotta, er pizzutello...
nun ce mancava mai! Che, quella santa...
se faceva pe quattro, e lavorava...
e la marinarella, le scarpette
a di' la verità, nun ce mancava!
Ho capito! Me dite d'annà ar fatto
un momento... che adesso l'aricconto:
Abbitavamo ar vicolo der Moro
io, co' mi' madre e mi' fratello Giggi.
La sera, noi tornamio dar lavoro;
e la trovamio accanto a la loggetta
bona, tranquilla, co' quer viso bianco,
che cantava, e faceva la carzetta!
E ce baciava in fronte, e sorrideva
e ce baciava ancora e poi cantava:
"Fior de gaggia
io so' felice sortanto co' voi due
ar monno nun ce sta che ve somija!".
E mentre sull'incudine, er martello,
sbatteva tutto allegro, e rimbarzava,
pur'io ndell'officina ripetevo:
"Fiorin fiorello
la vita tutta quanta, manco a dillo,
l'ho da passà co' mamma e mi' fratello".
(
Poi, Giggi se cambiò!!! se fece amico
co' li più peggio bulli dell'urione
lassò er lavoro.... bazzicò Panico,
poi fu proposto pe' l'ammonizzione.
De più, me fu avvisato dalla gente,
che quanno io nun c'ero, mi fratello
annava a casa pe' fa er prepotente!!
Per "garaché", ... l'amichi... l'osteria...
votava li cassetti der comò
e quer poco che c'era lì in famija
spariva a mano a mano!!! Lei però
nun rifiatava, nun diceva gnente....
ma nun rideva più... più nun cantava
mì madre bella, accanto a la loggetta!
La ruta... li garofoli... l'erbetta
ch'infioraveno tutto er barconcino,
tutto quanto sfioriva, e se seccava
insieme a mamma che se consumava!!
Un giorno je feci: - A ma', che ve sentite?
voi state male... perché nun me lo dite?
Nu' rispose: ma fece un gran sospiro,
e l'occhi je s'empirono de pianto!!
Nèr vedella soffrì, pur'io soffrivo!
ma ch'avevo da fà?... chiamai er dottore.
Disse che er male suo era qui:
"ner core"...
e che 'nse fosse presa dispiacere
se 'n voleva morì!!! La stessa sera
vorsi parlà co' Giggi, lo trovai, je feci:
- A Gi', mamma sta male assai ...
nun me la fa morì de dispiacere ...
je voio troppo bene... e tu lo sai
che si morisse, embè... che t'ho da di'?
sarebbe come er core se spezzasse!...
Mentre lei, guarirebbe si tornasse
er tempo de 'na vorta!... de quann'eri
bono... lavoratore... t'ricordi?
Giggi me fece 'na risata in faccia:
arzò le spalle, e poi me disse: - Senti,
senza che me stai a fa' tanti lamenti
faccio come me pare! E poi de' resto
si 'nte va be', nun me guardà più in faccia!
E me lassò accusì, li sur cantone,
cor core sfranto!! Ritornai da mamma
e la trovai davanti alla Madonna...
che pregava, e piagneva! Poverella...
quanto me fece pena!! In quer momento
per vicoletto scuro e solitario,
'ntesi Giggi cantà, co 'n'aria bulla:
"Fiorin d'argento
Accoro mamma e nun m'importa tanto
pe l'occhi tua ciò perso er sentimento".
Allora feci: - A ma', se mi' fratello
ritorn'a casa pe' fa' er prepotente
ve giuro che succede 'no sfracello!
-
No... no... fijetto mio bello,
Giggi nun è più lui... è 'na passione...
so' l'amichi che l'hanno straportato!!!
Me dette un bacio, la benedizione...
e poi, più bianca assai de' la cera,
pe nun piagne disse - Bona sera!
Ier'ammatina che successe er fatto,
sarà stato... che so... verso le sette ...
me parve de senti come 'na lotta! ...
Mamma diceva: - A Gi'.... 'nte compromette
co' tu fratello ... damme qui er brillocco...
è l'urtimo ricordo de tu padre!!...
e nun te scordà ... che so' tu' madre -
- E che m'importa a me de mi' fratello?
Si vò assaggià la punta der cortello
venga pure de qua! - Mbè... fu un momento:
sarto dar letto... spalancai la porta...
e me metto de faccia a mi' fratello,
co' le braccia incrociate sopra ar petto!
In quer momento me parve de senti 'na cosa calla ...
'na cosa calla che saliva in faccia.
Poi m'intesi gelà! Fece - Che vôi.... -
- Io vojo che te ne vai...
senza che fai più tanto er prepotente
senza che me stai a fa' tanto er bojàccia!...
-
Mi' madre prevedendo la quistione
se mise in mezzo pe' portà la pace:
ma Giggi la scanzò co' no spintone,
e poi me fece: - A voi sor santarello
ve ce vorà na piccola lezione!
E detto questo, aprì er cortello
e me s'avventò addosso!!!...
Mamma se stava pe' rimette immezzo
infrattanto che Giggi dà la botta...
io la scanzo... ma... mamma dà 'no strillo
e casca a longa longa...
Detti un urlo de belva e je strillai -
- Ah bojaccia!!!... infamone scellerato...
m'hai ammazzato mamma!!! e me buttai
come 'na 'jena sopra a mi' fratello:
j'agguantai la mano ... e je strappai er cortello...
Poi viddi tutto rosso ... e... menai... menai!!!...
L'edificio di testata della Stazione Termini si trova su Piazza dei Cinquecento e ne costituisce la facciata.
Questo manufatto è stato l'ultimo ad essere costruito in ordine di tempo e si può dire che con esso si sono conclusi i lavori di rifacimento della Stazione Termini, iniziati negli anni trenta e terminati nel 1950.
Nel progetto di Mazzoni del 1939 la nuova Stazione Termini doveva avere nelle due ali tutti i servizi e la facciata doveva essere occupata da un porticato monumentale.
Il progetto di Mazzoni per la Stazione Termini
Durante la guerra i lavori della nuova stazione erano stati praticamente conclusi negli edifici laterali, mentre il colonnato centrale non era stato ancora realizzato.
Nel 1946 il Ministero dei Trasporti varò una commissione d'inchiesta per valutare il completamento della stazione da un punto di vista economico, funzionale e architettonico, il cui risultato fu quello di sopprimere il portico monumentale e di spostare tutti i servizi, tra cui ristorante e biglietteria, nel nuovo edificio di testata previsto su Piazza dei Cinquecento, sconvolgendo completamente i piani di Mazzoni.
Il 1947 fu indetto un concorso per la progettazione del fabbricato di testa, a cui parteciparono 40 progetti, vinto ex aequo dai due gruppi di Eugenio Montuori e Calini, e Annibale Vitellozzi, Castellazzi, Pintonello e Fadigati.
Nel 1948 entrambi i vincitori elaborarono un nuovo progetto definitivo assieme.
Il progetto finale comprendeva quattro parti distinte: l'atrio biglietteria, su Piazza dei Cinquecento, il grande fabbricato frontale, di cinque piani, la galleria di testa, che connetteva le ali Mazzoniane con il nuovo edificio, e il ristorante, posto a sinistra dei resti delle Mura Serviane.
I cantieri della stazione della metropolitana e delle fondazioni dell'edificio di testata della stazione Termini nel 1948
I lavori iniziarono nel 1948 e furono svolti a ritmi forzati per terminare in concomitanza del Giubileo del 1950.
Terminarono contemporaneamente a quelli della stazione della metropolitana scavata a cielo aperto in Piazza dei Cinquecento.
Lavori dell'edificio di testata nel 1949
Il cantiere dell'atrio biglietteria
La costruzione della copertura della galleria di testa
La stazione fu inaugurata solennemente il 20 gennaio 1950 dal Presidente della Repubblica Einaudi, accompagnato dal Presidente del Consiglio De Gasperi, intervennero con due discorsi il sindaco Rebecchini e il ministro dei Trasporti D'Aragona, inoltre erano presenti membri del Governo e alte cariche dello Stato.
Pianta del piano terra dell'edificio di testata
Venendo da Piazza dei Cinquecento il primo elemento che si presenta è la grande pensilina dell'atrio in cemento armato.
Ha la funzione di ricoprire l'ingresso alla stazione e la corsia per i taxi, una volta percorribile a tutti i veicoli, è sviluppata a sbalzo per 19 m, sulla sommità è posto il fregio astratto, prima opera di Amerigo Tot, scultore tedesco fuggito a Roma con l'avvento del nazismo.
La pensilina poggia su 33 pilastri di cemento armato, rivestiti di marmo rosso, a distanza di 4 m. l'uno dall'altro, fra cui sono poste grandi vetrate attraverso le quali si entra nell'atrio, detto anche il dinosauro.
Il vasto ambiente è caratterizzato dall'andamento sinuoso del tetto in cemento armato, rivestito in tessere di mosaico bianco, segnato dalle incisure longitudinali binate in cui sono alloggiate le luci elettriche. La pensilina parte al livello del primo piano degli uffici, a un'altezza di 9.8 m. per poi raggiungere il livello massimo di 13.5 m. e appoggiarsi sui pilastri d'ingresso a 12 m.
Sul lato di fondo dell'atrio, verso Via Giolitti, sono poste le biglietterie, ristrutturate negli anni varie volte, l'ultima in occasione del Giubileo del 2000.
Il fabbricato frontale è lungo 232 m ed alto 30 m, si sviluppa lungo tutta la piazza per cinque piani. La facciata è rivestita in travertino per uniformarsi alle ali di Mazzoni, con l'uso di sottili finestre a nastro, due per piano, che tagliano orizzontalmente la massiccia mole di travertino.
La facciata del fabbricato frontale con il Ristorante e i resti delle Mura Serviane
Al piano terra sono ospitati negozi, al primo piano un ristorante, mentre i quattro piani superiori sono occupati dagli uffici compartimentali delle Ferrovie, da associazioni legate alle FS come il CIFI.
La galleria di testa, di grandiose dimensioni, è alta 14 m e larga 22 m, è conosciuta anche come 'galleria gommata' per il particolare pavimento originario in gomma, collega Via Marsala con Via Giolitti e conduce direttamente alle pensiline dei binari. Negli anni cinquanta, a partire da Via Marsala, si trovavano il Bar di III classe, quello di II e I, poi gli ingressi alla metro, la banca e i negozi.
É dotata di una grande vetrata sul versante dei treni, mentre il soffitto è piano rivestito di lamelle d'acciaio, e si salda con il fabbricato degli uffici all'altezza del terzo piano.
L'edificio del Ristorante è posto dietro le Mura Serviane, dal lato di Via Marsala.
Si sviluppa su un piano, è di forma leggermente ricurva ed è ricoperto da una vetrata fino al tetto. Al centro vi sono le cucine, mentre lungo la galleria erano posti i bar di prima, seconda e terza classe. Oggi tutti i locali sono occupati dal Ristorante Gusto.