In Piazza Giuseppe Verdi, nel Quartiere Pinciano, sorgeva, fino agli anni Sessanta del Novecento un edificio interessantissimo e
molto particolare per Roma, si trattava di un grande garage a dieci piani
chiamato la Casa dell’Automobile.
Era stato progettato dall’ architetto Enrico
Bacchetti nel 1928, e fu forse dell’unico vero edificio d’avanguardia degli
anni Venti, come lo erano stati i magazzini Bocconi di Giulio De Angelis negli
anni Ottanta dell’Ottocento. Costruire un palazzo intero solo per ospitare
automobili private era a Roma una vera sfida e un’azione di rivoluzionaria
contemporaneità, soprattutto perché l’automobile stessa era simbolo di modernità.
La zona scelta non a caso era una delle più eleganti e ricche della città, abitata dall’alta borghesia: il quartiere Pinciano. Sulla piazza poi affacciava il grandioso palazzo della Zecca di Stato, progettato da Garibaldi Burba con richiami abbastanza espliciti a Garnier.
Sebbene costruito alla fine degli anni ‘20 questo edificio si ispirava nelle forme architettoniche ai grossi palazzi newyorkesi dei primi anni del Novecento che ospitavano grandi magazzini e uffici (Saks Building, Macy’s). Si trattava dunque di un inedito assoluto per Roma, che creava per la prima volta un particolare legame con l’architettura funzionale americana, inoltre veniva colmato parzialmente il divario con le altre capitali europee in cui edifici di questo genere esistevano quasi da un ventennio.
L’ edificio era dotato di dieci piani, di cui uno interrato, ed era capace di ospitare 1000 automobili di cui 250 in un locale comune e 750 in box privati, ogni box era dotato di un apparecchio telefonico, presa d’aria compressa per il gonfiamento degli pneumatici e rubinetto per il lavaggio.
La zona scelta non a caso era una delle più eleganti e ricche della città, abitata dall’alta borghesia: il quartiere Pinciano. Sulla piazza poi affacciava il grandioso palazzo della Zecca di Stato, progettato da Garibaldi Burba con richiami abbastanza espliciti a Garnier.
Sebbene costruito alla fine degli anni ‘20 questo edificio si ispirava nelle forme architettoniche ai grossi palazzi newyorkesi dei primi anni del Novecento che ospitavano grandi magazzini e uffici (Saks Building, Macy’s). Si trattava dunque di un inedito assoluto per Roma, che creava per la prima volta un particolare legame con l’architettura funzionale americana, inoltre veniva colmato parzialmente il divario con le altre capitali europee in cui edifici di questo genere esistevano quasi da un ventennio.
La Casa dell'Automobile in costruzione |
L’ edificio era dotato di dieci piani, di cui uno interrato, ed era capace di ospitare 1000 automobili di cui 250 in un locale comune e 750 in box privati, ogni box era dotato di un apparecchio telefonico, presa d’aria compressa per il gonfiamento degli pneumatici e rubinetto per il lavaggio.
Le facciate
esterne erano decorate da motivi tradizionali ripresi dall’architettura
nordamericana. Il fronte su piazza Verdi era caratterizzato da un leggero
avancorpo centrale occupato da tre grandi archi affiancati a lesene ioniche
d’ordine gigante, sul cornicione, affiancato da due grandi pennoni
portabandiera, uno spesso fregio ospitava la scritta “casa dell’automobile”. Al
pianterreno, decorato con un forte bugnato si aprivano grossi finestroni
quadrati. Sopra il cornicione altri due piani sempre occupati da archi e
lesene, sorreggevano uno spesso parapetto di coronamento.
Le rampe elicoidali viste dall'alto |
Sapiente e
innovativa era la progettazione degli spazi interni che collocavano l’edificio
tra le migliori realizzazioni europee in cemento armato: il sistema di
distribuzione dei veicoli era basato su una doppia rampa elicoidale posta al
centro dell’edificio da cui era possibile raggiungere i vari piani, una rampa
era destinata alla salita e l’altra alla discesa dei mezzi, in questo modo la
circolazione nei due sensi era completamente indipendente.
Il terrazzo della casa dell'automobile |
Gli
entusiasmi suscitati dalla struttura negli ambienti accademici fecero sì che venne
presentata come opera italiana al congresso di Liegi dedicato alle costruzioni
in cemento armato nel 1930.
Nonostante
questi successi fu comunque messa nella tavola degli orrori della seconda
esposizione di architettura Razionale nel 1931, veniva infatti rimproverata l’anacronistica
partitura esterna decorata con motivi neorinascimentali.
Come molti
edifici romani è stato scandalosamente abbattuto negli anni Sessanta per costruire un
grande edificio per uffici dell’Enel (1963).
Mio padre mi ci condusse con l'auto !!!
RispondiEliminaAvevamo un box per la nostra 1100 Fiat 508 Nuova Balilla,e per andare a prenderla,con due tram :9 e poi CD rossa...!!! Altri tempi...
RispondiEliminaLo ricordo benissimo, quando mi affacciavo da alcune finestre della casa dei miei genitori, lo vedevo. Il mio amico di gioventù Vittorio Mudanò, aveva una motocicletta depositata in un box e ricordo che alcune volte andammo a parcheggiare la moto salendo qualche rampa. Ricordo la moto rossa, forse una Ducati che era del suo fratello più grande. Il palazzo durante la guerra aveva ai suoi piedi una tenda militare sotto via Donizetti, al cui interno sembrava possedere dei fusti di olio o benzina. spesso io ed i miei amici giocavamo a nascondino, entrando all'interno del garage. Vidi la nascita di un piccolo bar all'angolo e conobbi il custode del palazzo ormai prossimo alla demolizione per poi erigere un nuovo palazzo a favore dell'ENEL.
RispondiEliminaRicordo che con la liberazione di Roma fu anche requisito e usato con le vie perimetrali parcheggio per i mezzi delle truppe degli Americani che vi erano acquartierati.
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