Statua di Sant'Ambrogio
La statua di Sant'Ambrogio si trova in Piazza Augusto Imperatore, nel Rione Campo Marzio, in prossimità dell'abside della Chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso e posta in pendant con l'altra statua monumentale raffigurante San Carlo Borromeo.
Quando sotto il Fascismo, a partire dal 1936 vennero attuati i grandi cambiamenti urbanistici con annessi sventramenti della zona dell'Augusteo e fu quindi realizzata la nuova Piazza Augusto Imperatore, si venne a creare uno spazio simile ad un sagrato in prossimità dell'abside della Chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso.
Le statue, volute dall'Arciconfraternita dei Lombardi a Roma, furono in un primo momento progettate in bronzo e affidate ad Arturo Dazzi il Sant'Ambrogio e ad Attilio Selva il San Carlo Borromeo.
I Santi scelti furono quelli cui è dedicata la Chiesa e sono tra i più noti e venerati Santi legati alla Lombardia.
Sant'Ambrogio (Treviri 339 o 340 - Milano 397) fu Vescovo di Milano a partire dal 374 ed è il Santo Patrono del capoluogo Lombardo.
I piedistalli delle due statue, tuttavia, rimasero per diversi anni vuoti.
Nel 1941 gli artisti delle statue erano al lavoro, ma i lavori proseguirono probabilmente a rilento. Attilio Selva fu addirittura sollecitato dalla Reale Accademia d'Italia nel portare a termine il lavoro, mentre il Dazzi probabilmente era a una fase più avanzata dell'opera.
Quando nel 1943 le statue erano ormai prossime ad essere terminate e collocate, l'Italia sprofondò nel caos della Guerra di Liberazione, e il lavoro di Dazzi e Selva fu inevitabilmente interrotto.
Nel 1947, le statue - alte circa 5 metri - vennero finalmente collocate in Piazza Augusto Imperatore.
Quando furono inaugurate, la critica scrisse riguardo le statue, manifestando con toni diversi il ritorno delle statue monumentali, molto usate durante il Fascismo che era da poco definitivamente caduto. Michele Biancale sul Momento del 21 Settembre accolse contento il fatto che le due statue avevano messo da parte il fine celebrativo e politico delle grandi statue all'aperto in favore di una "placida e perenne Santità", mentre Toti Scialoja, nel numero della rivista Immagine del Settembre-Ottobre 1947, li considerò "due massicci fantasmi di un'urbanistica gerarchica e monumentale evocati dal Littorio, pantagruelico scalpello degli accademici (milanesi per l'occasione) Dazzi e Selva".
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